ARTICOLO n. 86 / 2025
Di Marina Viola
VIVO CON DUE ESSERI STRANI
Sono Carlotta, ho sette anni canini, 49 per i senza-coda. Ho il pelo corto, sono color castagna, sono nata in Mississippi e sono un Boxer. Non di quelli fighetti che costano un occhio della testa: sono stata adottata a undici mesi perché qualcuno mi aveva abbandonata o forse perché ero scappata da una situazione difficile. Robe tristi di cui preferirei non parlare. Vivo in un appartamento in città, e mi tocca annusare pali, idranti e qualche ruota di macchina per trovare il posto giusto per fare pipì.
Vivo con due esseri strani, che chiamo affettuosamente senza-coda: camminano su due zampe, per mangiare mettono una specie di coperta su un tavolo, il loro mangiare su degli oggetti rotondi e servono una bevanda scura che se ne bevono troppa poi gli viene sempre da ridere. Si rivolgono a me con tanta dolcezza, e mi parlano come se non li capissi, ignari del fatto che invece di lingue ne parlo quattro. Certe volte cerco di rispondere, ma mi escono dei suoni strani che spesso li fanno arrabbiare.
Invece dei peli su tutto il corpo, hanno soltanto dei capelli sopra la testa e in altre parti del corpo che vedo solo quando si fanno la doccia. Franca ogni tanto li raccoglie e si fa la coda, forse perché, a differenza mia, loro la coda non ce l’hanno proprio. Per ogni mano, hanno invece quattro dita più uno piccolino di lato che chiamano pollice opponibile che pare sia la chiave per essere autonomi. Quando si salutano, invece di annusarsi il sedere, si danno la mano o, al limite, si baciano. Questa, sinceramente, non la capirò mai: non sanno quante informazioni si perdono quando non si annusano. Ma contenti loro… Malgrado mi diano da mangiare sempre le solite crocchette, ogni tanto Peppi, quello dei due più alto, con la voce bassa e con pochi capelli, condivide qualche avanzo con me, di nascosto da Franca.
Considerato il fatto che non perdo opportunità per esprimere al meglio la mia gratitudine e il mio amore per loro, quando andiamo a fare una passeggiata loro si mettono una giacca e a me attaccano una corda a una specie di collana un po’ umiliante, come se volessi scappare. Mica sono scema! Sono viziata, coccolata, considerata parte della famiglia: chi me lo fa di andarmene! Forse lo fanno perché quando vedo un mio simile mi metto a urlare, loro mi dicono di smetterla e a me viene subito il nervoso che cerco di scaricare sul malcapitato. Noto che ogni volta che abbaio, ringhio e mi agito moltissimo, loro alzano la voce indispettiti, forse è il loro modo di abbaiare.
Non mi lamento, comunque: dormo sul divano, possibilmente addosso a uno di loro o sulla loro cuccia, che chiamano letto, forse perché prima di addormentarsi aprono quelle cose strane con un sacco di parole dentro che chiamano libri. A proposito di libri, l’altra sera ho notato che Franca ne sfogliava uno che aveva la copertina con un cane. La sentivo ridere e divertirsi e mi sono ripromessa di dargli un’occhiata il giorno dopo, mentre faceva la doccia. Si intitola Dries, I giorni del pensiero cagnolino, scritto da un certo Vittorio Zambaldino, Luca Sossella Editore, 2024. La fotografia del cane in copertina, a dire il vero, l’ho trovata di pessimo gusto: se lo incontro, ho subito pensato, gli faccio un culo così. Ma osservandolo attentamente, alla fine mi è pure stato simpatico. Sfogliando il libro, scopro come lui e l’autore si sono conosciuti e come sempre mi sono meravigliata delle coincidenze della vita. Anche la mia adozione è stata una strana coincidenza e mi chiedo se sia un po’ il destino di noi cani e dei nostri amici senza coda.
Zabardino racconta che un giorno sua figlia aveva l’influenza e lui si è offerto di portare fuori il suo cane, un Golden Retriever. Già questo tipo mi era simpatico: un altro amante di noi bestie. Insieme, sono andati in una di quelle aree cani di alcuni parchi, quelli da cui io sono stata bannata ormai da tre anni per via che sono aggressiva. Be’, mentre era lì con il golden, si è messo a chiacchierare con gli altri tipi che facevano scorrazzare i cani. Una giovane senza-coda raccontava di aver trovato per la strada uno di noi e di esserselo portata a casa. Non aveva la collana e neanche la carta di identità. Il problema era che non avrebbe potuto tenerlo, perché aveva già altri cani. Chiedeva dunque ai presenti se qualcuno fosse interessato ad adottarlo. È stato così che Dries, il nome che gli ha dato il senza-coda Zambardino, e l’autore sono presto diventati amici per la pelle. Lo ammetto: leggendo questa storia d’amore mi è scesa una lacrimuccia. Sono una boxerina che si commuove per niente, non lo nascondo: l’ho imparato da Franca, che è sempre lì a frignare per ogni cosa.
La mia lettura è stata interrotta sul più bello, perché la doccia era finita e, siccome nessuno sa che so leggere, ho dovuto fare finta di dormire. Appena Franca si è impomatata, lavata i denti, spruzzato quell’odore terribile sotto le ascelle e vestita, ha cominciato a scendere le scale di casa, e io ho sperato ardentemente che mi portasse ancora a fare una passeggiata, e gliel’ho fatto capire dai salti e dalla voce. «Sei appena uscita, e fuori ci sono meno 13 gradi, Carlotta. Vado solo a fumare una sigaretta, poi risalgo a lavorare». «Perfetto», ho pensato un po’ delusa, e sono andata a riaprire il libro. Sono rimasta sorpresa dal fatto che i due amici fanno delle passeggiate lunghe ore ed ore, mentre io in questo periodo se sto fuori un quarto d’ora per ogni uscita è tanto. Ho invidiato molto Dries, ma d’altronde lui vive a Roma, dove raramente fa freddo, e poi ha anche una pelliccia sostanziosa, mentre io, con il mio pelo corto, muoio di freddo. Zambardino parla al suo cane come se si capissero perfettamente, e infatti il libro è una specie di lettera d’amore che gli dedica. Non vorrei che Dries, in un momento di debolezza, gli abbia rivelato il segreto dei segreti, e cioè che noi cani capiamo tutto quello che ci viene detto.
Facciamo finta di non capire, perché poi ‘sti senza coda smettono di parlare davanti a noi. È un’arma a doppio taglio: l’altro giorno, Peppi parlava con un suo amico e ha detto: «La Carlotta è dotata di tutta l’intelligenza che serve a un Boxer, che a dire il vero non è tantissima». Un pugno nel cuore! Avrei voluto dirgli di come mi sia letta Don Chisciottecon gusto, Dostoevskij in lingua originale, di come una volta mi sia cucinata un pezzo di salmone con zenzero e salsa di soia che lui se lo sogna. Ma poi ho pensato che rischiare di perdere tutto quel bendiddìo che ricevo ogni giorno non ne vale la pena, per cui ho fatto finta di grattarmi l’orecchio destro. Che Peppi pensi un po’ come vuole.