Pietro Turano

ARTICOLO n. 72 / 2023

IO E GIULIA, DUE CORPI RIBELLI

Pubblichiamo in anteprima la prefazione a Corpi ribelli (Sperling & Kupfer) a cura di Giulia Paganelli. Ringraziamo Pietro Turano e l’editore per la disponibilità.

Io e Giulia, l’autrice che ha curato questo volume, ci siamo vistə di persona tre volte in tutto, forse due, e abbiamo fatto lunghe telefonate non tanto spesso. Se c’è una cosa però che ho imparato in dieci anni di attivismo è che i corpi dissidenti, non conformi, ribelli, si riconoscono. Ma non basta indossarne uno per riconoscersi, serve anche averne una certa consapevolezza.

Mi spiego meglio: forse sembra controintuitivo, ma spesso – e per tantə di noi è stato così per lungo tempo – non ci si accorge fino in fondo di indossare il corpo che si indossa, o si rifiuta, si nega, oppure si indossano le divise di altrə illudendosi che prendendo le loro parti non saremo oggetto di oppressione. Nei campi di sterminio nazisti alcuni omosessuali, identificati con un triangolo rosa, facevano di tutto pur di avere la stella gialla degli ebrei al posto di quel triangolo rosa. Lo racconta bene Martin Sherman nell’opera teatrale – poi anche cinematografica – Bent. Max e Horst sono due ragazzi omosessuali, ma mentre Horst porta un triangolo rosa cucito sul petto, Max è riuscito ad avere una stella gialla. 

Horst: Come hai fatto ad avere la stella gialla? Max: Sono ebreo.
Horst: Non sei ebreo, sei frocio. (Silenzio.) Max: Non lo volevo. 

Horst: Cosa?
Max: Il triangolo rosa.
Horst: Ah, non lo volevi!…
Max: Sei stato tu a dirmi che era il peggiore.
Horst: Sì, qui sì.
Max: E allora non lo volevo. 

In un momento di intimità fra i due, Max racconta a Horst che i nazisti, prima di consegnargli la stella, hanno voluto la dimostrazione che lui non fosse una checca, costringendolo a penetrare il cadavere di una bambina davanti a loro. 

Max: «Non sono checca.» E loro ridevano. «Datemi una stella gialla.» E loro hanno detto: «Ma certo, facciamolo ebreo. Non è checca». E ridevano. Si divertivano. Ma… io… ho avuto… la mia stella… 

Quello del campo di sterminio è sicuramente un esempio esagerato, ma il processo psicologico che spinge Max a fare di tutto per non passare per «frocio» è simile a quello che si verifica in tante persone, vittime di stigmatizzazione e marginalizzazione per via del loro aspetto, del loro comportamento, delle loro scelte. Penso alle persone LGBTQIA+ contrarie alle manifestazioni del Pride per esempio, ma anche alle persone nere che assumono comportamenti razzisti verso altrə e via discorrendo. In sostanza, il proprio percorso di emancipazione, affermazione, autodeterminazione è faticoso e, a volte, proprio chi subisce una discriminazione cade nel tranello del potere, assecondando o riproducendo gli schemi di cui è vittima, nella speranza di poter essere risparmiatə. Tutto questo per dire che non basta avere un corpo non conforme per comprenderne il peso culturale e renderlo ribelle. Ma se due corpi ribelli si incontrano, si riconoscono.

Quando ho sentito parlare Giulia per la prima volta e poi abbiamo cenato insieme, mi è parso in un certo senso di averla conosciuta molto tempo prima, quando eravamo chiusə ognunə nella propria cameretta e credevamo di essere solə, ma non lo eravamo. Giulia, io e un numero enorme di altri corpi eravamo insieme, connessə, a guardare in silenzio la stessa Luna. 

Due corpi ribelli che si incontrano sanno di condividere molte cose: la stessa esperienza di solitudine, di vergogna e poi di orgoglio. Nel libro Gay Bar, Jeremy Atherton Lin scrive: «Comunità è una parola che sentiamo ripetere di continuo. Spesso suona più che altro come un desiderio». Forse ha ragione, ma allora aveva ragione anche Luca Guadagnino quando, durante la conferenza stampa di Chiamami col tuo nome a Roma, rispose a una domanda dicendo che «l’utopia è la pratica del possibile, quindi quello che ho mostrato esiste eccome». Forse quella che potremmo chiamare comunità dei corpi ribelli è solo il desiderio di una comunità di corpi ribelli, ma se possiamo desiderarla allora significa che esiste davvero, ed è fondata sulle nostre ferite, cicatrici, mutilazioni, singhiozzi, nascondimenti e fughe. Siamo i figli e le figlie della notte, siamo stelle, e se le nostre storie possono provare a nascondere tutto questo, i nostri corpi no.

Il corpo è un fatto, innegabile e determinante. Determina uno spazio ed è manifesto, nel senso che ci permette la manifestazione, ma anche nel senso che si fa manifesto di ciò che scegliamo di esprimere attraverso di lui. Proprio per la sua natura fattuale e determinante, è il mezzo che ci muove nel mondo e ci impone al mondo per quello che siamo, senza possibilità di negazione. Per le stesse ragioni, però, è anche oggetto di predeterminazione, attraverso la quale il mondo ci ricorda quali siano gli standard a cui dobbiamo ambire e tendere, quali siano i corpi validi e anche cosa è necessario che questi rappresentino. Di sovradeterminazione, per cui noi e i nostri ruoli veniamo definiti attraverso la percezione altrui del nostro corpo. Poi, esiste lo strumento dell’autodeterminazione, attraverso cui possiamo rivendicare la nostra identità e il nostro corpo in quanto soggetti politici. 

Perché in un mondo in cui predeterminazione e sovradeterminazione producono una narrazione falsata e discriminante, che si esprime sui corpi e verso i corpi di intere costellazioni «minori», noi possiamo scegliere se utilizzare il nostro corpo come strumento politico o meno, ma non possiamo scegliere se sia politico o meno: volenti o nolenti lo è già, e autodeterminarsi attraverso questo è altrettanto politico e addirittura rivoluzionario. 

Il corpo è anche l’unica cosa che ci appartiene, insieme al tempo presente. La cultura dominante vuole che il potere si conservi e consumi sui corpi-campi di battaglia, promettendo salvezza in cambio del sacrificio dei nostri fratelli e sorelle non conformi. Sotto i nostri occhi accade il controllo sistematico dei corpi e ci viene venduta la possibilità di essere sentinelle armate del sistema. Per la salvezza ci viene venduta anche un’altra cosa che non può appartenerci: il tempo futuro. Se farai questo potrai salvarti, se comprerai questo diventerai chi vuoi essere, se ti reprimi o rinneghi potrai camuffarti sempre meglio.

Gli standard normativi non sono altro che ex voto e indulgenze di fumo sul mercato capitalista e patriarcale, promesse bugiarde e irraggiungibili, funzionali affinché il sistema non venga attaccato e possa conservare il proprio potere, mentre chi non lo ha si fa la guerra per averne un pezzo (a discapito di qualcun altrə). Siccome il corpo è un fatto innegabile, la cultura dominante usa tutti gli strumenti a sua disposizione per educare fin da subito alla normatività e per invisibilizzare ciò che non è conforme. Siccome il corpo è un fatto, quando un corpo non conforme è visibile, va stigmatizzato. Siccome il corpo è un fatto e i corpi ribelli sono manifestazioni materiali di un’alternativa alla cultura dominante, vanno anche delegittimati, perché la loro parola è pericolosa. Luca Starita scrive in Pensiero stupendo

In italiano, la parola «pericolo» è sempre associata a qualcosa di negativo, qualcosa che può risultare nocivo per qualcuno o qualcosa. In realtà, «pericolo» rimanda al latino periculum perior e al verbo greco peirao, che significano «tentare», «provare», «rischiare». In italiano quindi abbiamo nel tempo legato un’accezione più negativa a un termine che di per sé è legato all’idea del cambiamento, del rischio inteso come mobilità e non associato a un senso di impotenza di fronte a esso. 

Siamo dunque corpi ribelli e pericolosi, perché impariamo a muoverci nell’oscurità fra tutto ciò che è stato chiuso nella cantina del mondo; a forza di sfregarci le mani sul corpo abbiamo imparato a farci fuoco e brillare della nostra stessa luce.

Libri come questo, di saggistica divulgativa e partecipata, sono frammenti di luce che proviamo a gettare nel buio. Qui troverete storie di corpi ribelli, alcuni, non tutti, perché ogni corpo è diverso e ogni ribellione è un’esperienza soggettiva, anche se tutte, più di quanto pensiamo, si richiamano. Ogni corpo porta pelli, ferite, sembianze, luci e ombre, lacrime diverse. Vive esigenze, paure, limiti, ambizioni diverse. Per questo a volte i corpi ribelli vengono invisibilizzati, altre vorrebbero essere invisibili, a volte ricordano tutto, altre praticano la dimenticanza. Ogni corpo ribelle si fa manifesto ma non è davvero un manifesto, è soprattutto un corpo, umano, vivo.