ARTICOLO n. 74 / 2023

LA RICERCA FEMMINILE DELL’AMORE

Pubblichiamo un estratto da Comunione di bell books (Il Saggiatore, traduzione di Maria Nadotti) da oggi in libreria. Ringraziamo l’editore per la disponibilità.

Le donne parlano d’amore. Già da bambine capiamo che le conversazioni sull’amore sono una narrazione di genere, un soggetto femminile. Le nostre ossessioni in materia d’amore non cominciano con la prima cotta o la prima caduta.Cominciano con quella prima ammissione che le femmine contano meno dei maschi, che, per quanto brave possiamo essere, agli occhi dell’universo patriarcale non lo saremo mai abbastanza. Nella cultura patriarcale la femminilità ci contrassegna fin dall’inizio come immeritevoli o non altrettanto meritevoli, e non dovrebbe sorprendere che impariamo a preoccuparci maggiormente come ragazze, come donne, del fatto di essere meritevoli d’amore.

Cresciute con madri competitive e colpevolizzanti e padri che non riusciamo mai a soddisfare veramente, oppure in un mondo dove siamo la «perfetta» cocca di papà ma temiamo di perdere la sua approvazione al punto di smettere di mangiare, smettere di crescere perché ci accorgiamo che papà perde interesse, perché percepiamo che non ama le donne, siamo incerte sull’amore. Per conservare il suo amore dobbiamo aggrapparci a ogni costo all’infanzia. Fin da piccolissime le bambine continuano a sentirsi dire, se non dai genitori dalla cultura in cui sono immerse, che devono guadagnarsi il diritto di essere amate – che la «femminilità» non è sufficiente. È questa la prima lezione che viene impartita a una femmina alla scuola del pensiero e dei valori patriarcali. Deve guadagnarsi l’amore. Non le spetta di diritto. Per essere amata deve essere brava. E quel brava è sempre definito da qualcun altro, qualcuno dall’esterno. Scrivendo del rapporto con il proprio papà nel saggio Dancing on My Fathers Shoes (Danzando sulle scarpe di mio padre), Patricia Ruff offre un resoconto accorato di come ha perso la sensazione di essere degna d’amore, di essere apprezzata, confessando: 

«Mia madre mi disse che lui voleva prima di tutto una figlia e non avrebbe potuto essere più felice quando venni al mondo. Perciò ero impreparata quando il mio status di principessa, senza alcun preavviso, fu fatto bruscamente a pezzi, come un foglio di carta strappato da un quaderno. Successe qualcosa che nessuno mi spiegò. […] Non riuscivo a dare voce ai miei sentimenti ed ero senza parole per la rabbia e il dolore causati da quel suo essere d’un tratto fuori portata». 

Preoccupata che la sorella più piccola potesse essere esposta a sua volta alla pena di vedersi rifiutata a livello emotivo, Ruff propone di affrontare insieme il padre: 

«Facemmo irruzione nella loro camera da letto, ci gettammo sul nostro attonito padre, che rimase immobile e senza parole mentre noi lo inondavamo di lacrime, agguantandolo, stringendolo, decise a non mollare. “Papà, per favore abbracciaci, dicci che ci vuoi bene, noi ti vogliamo bene, abbiamo bisogno che tu ci voglia bene” implorammo». 

Il rifiuto e l’abbandono da parte dei padri e delle madri sono lo spazio della mancanza che di solito pone le basi per l’ansia femminile di trovare e conoscere l’amore. Spesso, da piccole, le bambine si sentono amate e al centro dell’attenzione. Più tardi, però, quando sviluppiamo forza di volontà e autonomia di pensiero, scopriamo che il mondo smette di confermarci, che siamo considerate non amabili. È l’intuizione che Madonna Kolbenschlag condivide in Lost in the Land of Oz (Smarrita nel paese di Oz) riguardo alla natura del destino femminile: «In qualche modo, siamo state tutte private dell’amore, delle cure materne – se non dell’amore, allora della sensazione di essere state amate. Sapere che siamo state amate non è abbastanza; dobbiamo sentirlo». Come fa una bambina a credere di essere amata, davvero amata, quando da qualsiasi parte si giri vede che la femminilità è disprezzata? Incapace di modificare la realtà della femminilità, si sforza di migliorarsi, di diventare qualcuno degno d’amore. 

Educate a credere che troviamo noi stesse nel rapporto con gli altri, le femmine imparano presto a cercare l’amore in un mondo al di là del loro cuore. Impariamo fin da piccole che le radici dell’amore sono al di fuori delle nostre possibilità, che per conoscere l’amore dobbiamo essere amate dagli altri. In quanto femmine in una cultura patriarcale, non possiamo determinare il nostro valore personale. Le nostre qualità, il nostro valore, e se possiamo essere amate o no sono sempre cose stabilite da qualcun altro. Prive dei mezzi per dare vita all’amore per noi stesse, ci rivolgiamo agli altri perché ci rendano amabili; desideriamo l’amore e siamo in cerca d’amore. 

Se il movimento femminista contemporaneo ha criticato la svalutazione del femminile che ha inizio nell’infanzia, non è tuttavia riuscito a modificarla. Oggi le bambine crescono in un mondo dove da più parti apprendono che le donne sono uguali agli uomini, ma nella loro infanzia non esiste ancora uno spazio reale per il pensiero e la pratica femminista. 

Oggi le bambine lottano contro il sessismo dei ruoli di genere così come facevano le bambine prima del movimento femminista contemporaneo. Se qua e là alcune correnti di femminismo sostengono quella lotta, il più delle volte le bambine si sentono assediate dai messaggi contraddittori determinati dal fatto di essere nate in un mondo in cui alla liberazione delle donne è stato riconosciuto un piccolo spazio, benché le bambine siano rimaste intrappolate tra le braccia del patriarcato. La riprova di tale intrappolamento è il timore, ampiamente diffuso tra tutte le ragazzine, a prescindere da razza o classe, di non essere amate. 

Nella cultura patriarcale, alla bambina che non si sente amata nella famiglia d’origine, è data un’altra possibilità di dimostrare il proprio valore quando la si incoraggia a cercare l’amore dei maschi. Le cotte e le manie ossessive della scolaretta, il suo desiderio compulsivo dell’attenzione e dell’approvazione maschili, indicano che sta perseguendo correttamente il proprio destino di genere, che è sulla buona strada per diventare la femmina che non può essere nulla senza un uomo. Che sia eterosessuale o omosessuale, la misura in cui anela all’approvazione patriarcale determinerà se è degna di essere amata. Questa è l’insicurezza emotiva che infesta la vita di tutte le femmine nella cultura patriarcale.

Fin dall’inizio, quindi, le femmine sono confuse circa la natura dell’amore. Addestrate in base al falso presupposto che troveremo l’amore nel luogo stesso in cui la femminilità è ritenuta indegna e sistematicamente svalutata, impariamo presto a fingere che l’amore conti più di qualsiasi altra cosa, quando, in effetti, sappiamo che ciò che più conta, anche all’indomani del movimento femminista, è l’approvazione patriarcale. 

Dalla nascita quasi tutte le femmine vivono nel timore di essere abbandonate, che se facciamo un passo fuori dal cerchio approvato non saremo amate.

Data la nostra precoce ossessione di sedurre e compiacere gli altri per affermare il nostro valore, ci perdiamo nel tentativo di essere accettate, incluse, desiderate. Il nostro parlare d’amore è stato perciò prima di tutto un parlare di desiderio. In generale, il movimento femminista non ha modificato l’ossessione femminile per l’amore, né ci ha offerto modi nuovi di pensare a esso. Ci ha detto che saremmo state meglio se avessimo smesso di pensare all’amore, se fossimo riuscite a vivere la nostra vita come se l’amore non avesse alcuna importanza, altrimenti avremmo corso il rischio di diventare parte di una categoria femminile veramente disprezzata: «La donna che ama troppo». Il bello, naturalmente, è che molte di noi non amavano troppo; non amavamo affatto. In realtà eravamo emotivamente bisognose, alla disperata ricerca del riconoscimento (da parte di partner maschili o femminili) che ci avrebbe dimostrato il nostro valore, i nostri meriti, il nostro diritto di essere vive sul pianeta, ed eravamo disposte a tutto pur di ottenerlo. Femmine in una cultura patriarcale, non eravamo schiave dell’amore; la maggior parte di noi era ed è schiava del desiderio – desiderose di un padrone che ci libererà e sosterrà, poiché da sole non riusciamo a sostenerci.

La promessa del femminismo è che si sarebbe creata una cultura in cui avremmo potuto essere libere e conoscere l’amore. Quella promessa, tuttavia, non è stata mantenuta. Molte donne sono ancora confuse e si domandano quale sia il posto dell’amore nella propria vita. Molte di noi non hanno avuto il coraggio di ammettere che «l’amore conta», per paura di essere disprezzate e svergognate dalle donne che sono arrivate al potere in seno al patriarcato tagliando fuori le emozioni, diventando simili agli uomini patriarcali che un tempo criticavamo per la loro freddezza e la loro insensibilità. Il femminismo di potere è solo un altro inganno, in cui le donne possono giocare al patriarca e far finta che il potere che cerchiamo e otteniamo ci liberi. Poiché non abbiamo creato un corpus sostanzioso di opere capaci di insegnare alle bambine e alle donne modi nuovi e visionari di pensare all’amore, assistiamo all’ascesa di una generazione di donne sulla trentina che considerano una debolezza qualsiasi desiderio d’amore, il cui sguardo è concentrato esclusivamente sulla conquista del potere. 

Il patriarcato ha sempre visto l’amore come una faccenda da donne, un lavoro degradato e svalutato. E non si è preoccupato del fatto che le donne non imparassero ad amare, dal momento che gli uomini patriarcali tendono a sostituire l’amore con la cura, il rispetto con la sottomissione. Non avevamo bisogno di un movimento femminista per renderci conto che le femmine sono più propense dei maschi a occuparsi di relazioni, legami e comunità. Il patriarcato ci addestra a questo ruolo. Abbiamo bisogno di un movimento femminista che ci ricordi di continuo che l’amore non può esistere in una situazione di sopraffazione, che l’amore che cerchiamo non possiamo trovarlo finché siamo vincolate e non libere. 

Nel mio primo libro sull’argomento, Tutto sull’amore. Nuove visioni, ho avuto cura di dire più e più volte che le donne non sono intrinsecamente più amorevoli degli uomini, ma che siamo sollecitate a imparare ad amare. Tale incitamento ha fatto da catalizzatore alla nostra ricerca d’amore, spingendoci a esaminare attentamente e a lungo la pratica dell’amore. E ad affrontare la nostra paura di non essere amorevoli, di non essere amate a sufficienza. Nella nostra cultura le donne che più hanno da insegnare a tutti sulla natura dell’amore sono le donne della generazione che ha imparato attraverso la lotta femminista e le terapie fondate sul femminismo che l’amore di sé è la chiave per trovare e conoscere l’amore. 

Noi, donne che amano, siamo parte di una generazione di donne che sono andate oltre i paradigmi patriarcali per trovare se stesse. Il cammino per trovare il nostro vero sé ha richiesto che ci inventassimo un nuovo universo, un universo in cui abbiamo avuto l’ardire di far rinascere la bambina in noi e di accoglierla nella vita, in un mondo in cui nasceva benvenuta, amata e per sempre degna. Amare la bambina in noi ha guarito la ferita che spesso ci portava a cercare l’amore in tutti i posti sbagliati. Per molte di noi la mezza età è stata il momento favoloso in cui abbiamo cominciato a riflettere sull’autentico significato dell’amore nelle nostre vite. Abbiamo cominciato a vedere con chiarezza quanto esso contasse, non le vecchie versioni patriarcali dell’«amore», bensì una comprensione più profonda dell’amore come forza di trasformazione che richiede a ogni individuo affidabilità e responsabilità per nutrire la nostra crescita spirituale. 

Rendiamo testimonianza del fatto che nessuna donna può trovare la libertà se prima non ha trovato il proprio modo di amare. La nostra ricerca dell’amore ci ha portate a capire pienamente il senso della comunione. In The Eros of Everyday Life (L’eros della vita quotidiana) Susan Griffin scrive: 

«Il desiderio di comunione esiste nel corpo. Non è solo per ragioni strategiche che riunirsi ha costituito il fulcro di ogni movimento per il cambiamento sociale. […] Questi incontri erano di per sé la realizzazione di un desiderio che è al cuore delle fantasie umane, il desiderio di collocarsi in una comunità, di rendere la nostra sopravvivenza uno sforzo condiviso, di sentire un rispetto palpabile nei confronti dei legami che ci uniscono e della terra che ci dà sostentamento».

La comunione nell’amore che le nostre anime bramano è la ricerca più eroica e divina che un essere umano possa intraprendere. 

Il fatto che nasciamo in un mondo patriarcale, che prima ci invita a metterci in viaggio verso l’amore e poi pone delle barriere sulla nostra strada, è una delle tragedie della vita. Per le donne anziane è giunto il momento di salvare le bambine e le giovani, di offrire loro una visione dell’amore che le sostenga nel loro cammino. La ricerca dell’amore come ricerca dell’autentico sé affranca. Tutte le donne che hanno l’audacia di seguire il proprio cuore per trovare quell’amore partecipano a una rivoluzione culturale che ritempra le nostre anime e ci permette di vedere con chiarezza il valore e il senso che l’amore ha nella nostra vita. Se l’amore romantico è un tratto cruciale di questo percorso, non lo consideriamo più la sola cosa che conta; esso è, piuttosto, un aspetto del nostro lavoro complessivo per creare legami amorevoli, cerchi d’amore che nutrono e puntellano il benessere collettivo femminile. 

Comunione. La ricerca femminile dell’amore racconta la nostra lotta per conoscere il vero amore e i nostri trionfi. Aggregando la saggezza desunta dalle donne giunte a conoscere l’amore nella mezza età, donne che spesso avevano vagato smarrite in un deserto del cuore per buona parte dell’adolescenza fino alle soglie dei trent’anni, Comunione ci dà modo di cogliere l’esperienza di donne dai trent’anni in su che, da cercatrici sul sentiero dell’amore, strada facendo hanno scoperto nuove visioni, intuizioni risanatrici e memorie di rapimento. 

Questo libro è soprattutto una testimonianza, una celebrazione della gioia che le donne scoprono quando riportiamo la ricerca dell’amore al suo giusto, eroico posto al centro della nostra esistenza. Vorremmo essere amate e vorremmo essere libere. Comunione ci dice in che modo realizzare quel desiderio. 

Raccontando il dolore, la lotta, il lavoro che le donne fanno per superare la paura dell’abbandono e della perdita, in che modo ci spingiamo oltre la passione ferita per aprire i nostri cuori, Comunione ci invita a tornare ogni volta là dove possiamo conoscere la gioia, a tornare e celebrare, per entrare nel cerchio dell’amore.

ARTICOLO n. 33 / 2024