ARTICOLO n. 67 / 2023

FARE L’AMORE CON GENTILE IMPRUDENZA

La temperatura dell'estate

C’è un luogo a Barcellona in cui la vecchia muraglia romana incontra i vizi della contemporaneità.
Si trova nel casco antico della città, che in alcuni punti è sopravvissuto quasi intatto al passare del tempo. Proprio lì, incastrata tra minuscoli viottoli maleodoranti e all’apparenza indistinguibili, si nasconde una piazzetta fiocamente illuminata dai lampioni e incorniciata dagli alberi. Noi la chiamiamo “la piazzetta segreta” perché ogni volta ci dimentichiamo – o fingiamo di dimenticarci – come si chiama davvero. Quando ci viene voglia di raggiungerla dobbiamo sempre reimparare il cammino per arrivarci, tiriamo a indovinare, giochiamo a chi la trova per primo. Costeggiamo la cattedrale lasciandoci piazza Jaume I alle spalle, attraversiamo le antiche torri, scendiamo di appena una baixada e poi, puntualmente, ci perdiamo. 

È proprio questo alone di mistero che circonda quel luogo che riempie di incanto ogni nuovo incontro avvenuto nei suoi pochi metri riempiti da tavolini traballanti. La piazzetta segreta è testimone dell’esistenza di molte storie nate a bassa voce. È a lei che gli amanti affidano le loro inconfessabili promesse d’estate, quelle che si fanno sussurrando mentre tutto sembra possibile, quando le antiche mura riparano appena un poco dal caldo torrido e dagli sguardi curiosi dei turisti che affollano il centro città. Qui gli archi gotici diventano portici sotto ai quali nascondersi per scambiarsi baci appassionati. 

È lì, in quella precisa piazzetta, che ho pensato per la prima volta che l’amore assomigliasse alla follia. Come si fa, mi chiedevo osservando gli amanti con occhi avidi, a innamorarsi d’estate quando il caldo soffocante diventa un monito pronto a ricordarci che non esiste futuro? Come si stringe la mano di uno sconosciuto immaginando di poter costruire mentre si ha l’impressione che il mondo intorno vada in fiamme? Quanta speranza è racchiusa all’interno dei fuochi di cuori ignoranti e incuranti di quella che chiamano “l’estate più fresca del resto della tua vita”?


Mentre ci penso sento un tonfo al cuore. La chiamano eco-ansia ed è una sensazione di paura e impotenza che si prova quando ci si sofferma a pensare allo stato di salute del nostro pianeta. L’eco-ansia ha lo stesso rumore dei sogni infranti: è la consapevolezza di non poter fare nulla di fronte alla distruzione inesorabile dei nostri ecosistemi nell’era antropocentrica, è il senso di colpa paralizzante che si insinua dentro di noi quando analizziamo il valore delle nostre scelte ecologiste individuali per limitare i danni dell’imminente apocalisse, è la percezione vivida che il mondo, così come l’abbiamo conosciuto, sia destinato alla morte. 

Secondo il filosofo ambientale Glenn Albrech sono sempre di più gli stati psicoterratici negativi che si scatenano in risposta ai cambiamenti di equilibrio tra umanità e ambiente, e la mia generazione purtroppo ne è la principale vittima. Nel 2021, la rivista Environment International pubblicava un articolo scientifico in cui suggeriva una correlazione tra l’aumento delle alte temperature e il deterioramento del benessere psichico umano, riscontrando un’impennata estiva di ricoveri ospedalieri e visite al pronto soccorso per condizioni come ansia, depressione o schizofrenia, così come un picco di suicidi e omicidi. Quest’idea è ben nota anche nel campo della psicologia, che da anni racconta come i periodi di clima caldo siano tendenzialmente caratterizzati da maggiori esplosioni di violenza e rabbia, sia verso sé stessi che verso gli altri. D’estate il nostro battito cardiaco accelera, il nostro respiro si accorcia, e la nostra capacità di gestire gli sbalzi emotivi associati al disagio si abbassa: diventiamo insomma più impulsivi perché troppo concentrati sulla regolazione del nostro corpo. Io stessa, nonostante durante l’inverno desideri ardentemente l’arrivo del caldo e sia disposta a percorrere anche grandi distanze per ritrovarlo, nei mesi estivi mi sento più irascibile, come se insieme alla terra andassi a fuoco anche io. Questa sensazione aumenta progressivamente di anno in anno, creando solchi profondi come calanchi che erodono la mia stabilità mentale e, insieme a lei, la mia illusione di non star sprofondando nella più totale follia. Così l’estate, un tempo simbolo di libertà e infinite possibilità, oggi mi terrorizza.  

Osservando un’altra volta gli amanti della piazzetta segreta ricordo con tenerezza le mie prime estati spagnole, quando il tepore estivo non faceva paura e insieme a lui sopraggiungeva anche l’illusione dell’amore. Lo aspettavamo con ansia a vent’anni, eccitati e avidi di conoscere il mondo e saggiare i limiti della fugace libertà che ci offrivano quei mesi di pausa. Io accoglievo con gioia il caldo asciutto di Madrid che annunciava il suo arrivo con aliti di vento roventi che non spettinavano mai i capelli. Ero spensierata, piena di vita e ottimista, e ai primi canti di rondine diventavo felice. Allora pensavo con ingenuità e un pizzico di presunzione che il cambiamento climatico l’avremmo fermato in tempo, noi della Facoltà di Scienze Politiche di Somosaguas, e in quella credulità di bambina nemmeno l’amore mi incuteva timore, anzi: bramavo di lasciarmi consumare dal desiderio fino a rendermi cenere. 

Ma oggi? Dove resta spazio per l’amore quando tutto sembra essersi perso e l’eco-ansia somiglia più che altro alla resa? Sembra che ormai possiamo affacciarci all’Altro solo in forma mutilata, consci della possibilità che tutto finisca prima ancora di iniziare e che la promessa di passare la vita insieme al proprio essere amato somigli più a una condanna da scontare insieme che a una promessa di futuro. Anche per questo molti dei miei coetanei stanno abbracciando la scelta di non mettere al mondo dei figli al fine di evitar loro la sofferenza che sarebbe vivere in un mondo devastato dall’ebollizione globale. Fare figli è da egoisti, dicono, è inutile esasperare ulteriormente il nostro mondo sovrappopolato con scelte riproduttive irrazionali. È folle sforzarsi di pianificare, edificare e immaginare il domani mentre le nostre certezze sul mondo si sgretolano insieme alle città.   


Eppure, agli amanti della piazzetta tutto questo non sembra interessare. A ben guardarli si direbbe che se ne infischino della paura, della rabbia e dell’odio che gli esplodono intorno, perché la fine del mondo per loro esiste solo nei baci, nei corpi riscaldati, nello sfinimento del desiderio insaziabile. Solo allora mi risuonano in mente le parole di bell hooks nel suo meraviglioso trattato sull’amore e sulla possibilità che esso ci offre per essere catalizzatori del cambiamento.

Nella pratica dell’amore, dice hooks, impariamo a resistere, a prosperare e a guidare in qualsiasi circostanza, e amando cresciamo spiritualmente imparando a immaginarci come parte di un unico organismo con un unico cuore pulsante. Mentre la paura paralizza, l’amore autentico e gentile ci attiva.

Abbracciare un’etica amorosa significa vivere la propria vita prendendosi la responsabilità di qualunque atto, parola e pensiero che formuliamo, senza mai dimenticare l’essenziale interconnessione delle nostre esistenze.Solo comprendendo appieno il significato dell’amore si può davvero metterlo in atto. Esso non include solo l’amore romantico ed erotico, ma anche quello amicale e familiare, così come le spinte amorose ed empatiche che possiamo provare verso uno sconosciuto o qualcuno che appena conosciamo. L’amore in questo senso rappresenta un impegno, un compito, un’abilità da acquisire che richiede determinazione, dedizione e talvolta fatica; tuttavia, esso è l’unica forza politica a cui ancora possiamo affidarci per sperare di salvarci di fronte alle minacce di distruzione e dissoluzione che si prospettano davanti, perché l’amore, e solo l’amore, è ancora in grado di orientare le decisioni collettive sulla base della cura e della creazione attraverso l’incontro con gli altri.

Gli amanti della piazzetta ancora non lo sanno, ma il loro amore che profuma di imprudenza ora si è acceso dei colori della speranza.

Finalmente sorrido.

ARTICOLO n. 74 / 2024