ARTICOLO n. 68 / 2022

VIOLETANTE VIOLETA

Le canzoni dipinte di Violeta Parra alla Biennale di Venezia

Per cantare all’improvviso
si richiede buon talento
memoria e intelligenza,
forza di gallo di razza.
Come una grandinata
devono fiorire i vocaboli
da spaventare anche i diavoli
con molte belle ragioni
come nelle conversazioni
fra San Pietro e San Paolo.

Della musicista e artista cilena Violeta Parra, l’amico Patricio Manns racconta di una sera in cui andò a cantare in un teatro di Punta Arenas, capitale della regione di Magellano e dell’Antartide Cilena, nella Finis Terrae australe. Faceva freddo, molto freddo, e a un certo punto una ragazzina le portò uno scialle per coprirsi. «Il freddo di qui, il vostro freddo», disse Violeta al suo pubblico, «mi aveva un po’ colpito, ma poco fa una ragazzina è venuta a offrirmi, a nome del comitato delle madri, uno scialle di lana molto grossa. È una grandissima gioia per me avere ricevuto un regalo da un centro di madri in questa estremità del Cile. Sono venuta un po’ timorosa qui a Punta Arenas, perché non ero mai venuta e non sapevo se mi conoscevate e mi amavate. Ma ora riparto molto contenta, non solo per il regalo che ho ricevuto ma per un’altra cosa molto commovente che mi è stata portata ieri sera». «Che cosa?» domandò il pubblico. Violeta rispose: «Potete vedere qui che i miei piedi non toccano terra, sono in aria, perché tutte le sedie sono troppo grandi per me. Sono una donna molto “corta”. Ma ieri è venuto al mio albergo un uomo, uno di qui, di Punta Arenas, e mi ha offerto una sedia fatta per le mie dimensioni. E porterò anche questa a Santiago, e mai più canterò in punta di piedi».

E anche signori ascoltatori,
occorrono gli strumenti,
moltissimi elementi
e un compagno eloquente.
Dev’essere un buon contendente,
esperto della storia;
vorrei avere memoria
per avviare una sfida,
ma non mi sento capace
di concluderla in gloria.

Arturo Prat è uno degli eroi cileni della Guerra del Pacifico, conosciuta anche come guerra del salnitro, con il Cile da una parte e la Bolivia e il Perù dall’altra (si battevano per il salnitro che abbondava nel deserto di Atacama, a sud del Perù e a nord del Cile). Combatté a lungo e valorosamente, per poi morire in battaglia a bordo della sua nave, la Esmeralda, il 21 maggio del 1879, poco più che trentenne. La Esmeralda era una vecchia corvetta di legno che pesava 850 tonnellate, armata con quattordici cannoni. La battaglia avvenne al largo dell’allora porto peruviano di Iquique, dove Prat e il suo equipaggio si scontrarono con una corazzata peruviana al comando di Miguel Grau Seminario. Dopo la battaglia, l’ammiraglio Grau ordinò che gli oggetti personali di Prat (tra cui il diario, l’uniforme e la spada) venissero consegnati alla vedova, Carmela Carvajal, insieme a una lettera in cui Grau elogiava la nobiltà e il valore del rivale, che fu così chiamato “El Caballero de los Mares”. Prat e la sua Esmeralda li vediamo bellamente raffigurati in questi giorni all’Arsenale di Venezia, in una delle tre opere di Violeta Parra scelte da Cecilia Alemani per la Biennale. Le opere sono tre arazzi, o arpieceras, ovvero quadri composti con lana e pezzi di tessuto di vari colori, o ancora canciones que se pintan, come amava chiamarle la stessa Violeta: canzoni dipinte. Gli altri due arazzi sono El circo Arbol de la vida, il circo e l’albero della vita, rispettivamente del 1961 e del 1963. L’arazzo con Arturo Prat si chiama Combate naval I ed è del 1964, anno in cui Violeta venne invitata a esporre le sue opere al Louvre, a Parigi. Fu la prima artista sudamericana ad avere una personale lì, e insieme agli arazzi espose tele e sculture, ricomponendo la parte visuale della sua eclettica produzione artistica a beneficio di un pubblico che, come le madri e le figlie di Punta Arenas, forse non sapeva niente di lei ma che la amò a prima vista. Era la sua prima personale al Louvre, ma non era la prima volta che esponeva i suoi lavori. Prima del Louvre c’erano stati il Museo de Arte Moderno in Brasile, le Ferias de Artes Plásticas a Santiago, la Galería Teatro I.F.T di Buenos Aires, il Kulttuuritalo a Helsinki, la R.D.A. Gallery di Berlino, l’Università di Ginevra, in Svizzera. Esponeva soprattutto opere ricamate. In un’intervista televisiva con Yvonne Brunhammer, Parra spiegò che la scelta del mezzo era dettata semplicemente dal fatto che non sapeva disegnare. Negli ultimi anni della sua vita si dedicò alla creazione di uno spazio culturale che fosse allo stesso tempo creativo ed espositivo. Lo chiamò la Carpa de la Reina. La tenda della regina.

Quando parlo di strumento
penso al chitarrone,
col suo filo e il bordone:
il suo suono è un portento.
Cinque “ordinanze” vi conto,
tre di cinque, due di tre,
la “chiave” ai vostri piedi,
l’impugnatura elegante.
Quattro diavoletti cantanti
la sua cassa deve avere.

Quando Violeta venne invitata a esporre al Louvre, conosceva già il posto perché verso la metà degli Anni Cinquanta aveva registrato lì alcune delle sue canzoni per gli archivi della BBC. A invitarla non fu il Musée National d’Art Moderne ma il Musée des Arts Décoratifs, che avendo già esposto i lavori di Picasso e Chagall (l’artista preferito da Violeta) si muoveva con disinvoltura tra belle arti e folk art, schivando la rigidità di confini e considerando tutto Arte con la a maiuscola. Il manifesto della mostra era di stoffa e ricamato, e mostrava un grande occhio, oggetto surrealista per alcuni, talismano sacro per altri. O anche entrambe le cose. Ricamate erano anche tutte le informazioni relative alla mostra: la data (dall’8 di aprile all’11 di maggio), il nome e l’indirizzo della galleria, il proprio nome e la scritta “sculture”, rendendo ambigua e vasta la definizione di cosa sia una scultura. Su quella mostra Violeta scrisse una canzone dal titolo Una cilena a Parigi. E fa così: “Ho portato dei dipinti / nella bella città di Parigi, / con un gran tristezza / per il mio Cile. // Finalmente sono a Parigi /cammino sulla riva della Senna / e sul ponte del Louvre / sono già in ufficio / faccia a faccia con la segretaria / quando sento un campanello / che mi chiama. // Poi vedo davanti a me / il capitano del Museo / è stato gentilissimo / il signor Faré”. Il signor Faré era Michel Faré, all’epoca curatore al Louvre del Musée des Arts Décoratifs, e insieme a Yvonne Brunhammer curatore della mostra. Nella canzone Violeta lo chiama capitano, come Arturo Prat.

E per cantare a contrasto
si dev’essere suonatrice,
e la cantante arrogante
per seguire la melodia,
garantire l’allegria
finché dura il contrappunto,
formare una bella armonia,
rispondere con destrezza:
vedo che la mia testa
non è fatta per questa storia.

E adesso veniamo a Violeta Parra, meravigliosa cantante e artista folk cilena, sorella del poeta Nicanor Parra. Alcuni fatti biografici: nacque a San Carlo, nella provincia di Punilla e nella regione di Ñuble, il 4 ottobre del 1918, e morì a Santiago, suicida a quarantanove anni, il 5 febbraio del 1967. La sua canzone più famosa è Gracias a la vida, di cui esiste una lista interminabile di cover, delle quali forse la più celebre è quella di Joan Baez. Ebbe due mariti, quattro figli e un grande amore, il musicologo e antropologo svizzero Gilbert Favre, che a un certo punto la lasciò. Violeta amava cantare e ricamare (e anche scolpire, dipingere, in tutte le forme creare), ma amava anche e soprattutto andarsene in giro per il Cile a registrare le canzoni del repertorio popolare del paese, avviando così insieme a Victor Jara il movimento culturale e musicale della Nueva Canción Chilena che negli anni sessanta si dedicò al recupero e alla rielaborazione del folklore sudamericano e all’uso della canzone come strumento di lotta sociale e impegno politico. A un certo punto disse: «Il Cile è il miglior libro di folklore che sia mai stato scritto». In una canzone descrive se stessa come un chirigüe, uno degli uccelli comuni del Cile. Nella canzone l’uccello perde le piume e la capacità di cantare per trasmettere la tristezza che prova per la difficile situazione dei minatori nel nord del Cile. E diventa uccello anche in uno dei suoi dipinti più autobiografici, El Pájaro y la Recorder, l’uccello e il registratore. 

Infine gentili signori,
che mi prestate attenzione,
che avete trovato ragione
di sfuggire a questo incanto
non voglio che si faccia
contro di me alcun commento: 
per le chiacchiere sui giornali
è già tanto il condimento.
Non deve mancare il momento
di imparare a gorgheggiare.

In ultimo c’è il verbo violetare che ho usato nel titolo. È un’invenzione poetica di Pablo Neruda, amico e ammiratore di Violeta, che in versi la descrisse il giorno del suo cinquantesimo compleanno: Estás Violeta Parrón / violeteando la guitarra / guitarreando el guittarón / entró la Violeta Parra. (Ecco Violeta Parrón, violetando la chitarra, schitarrando il chitarrone, è entrata Violeta Parra). E poi nel 1970, tre anni dopo che Violeta era già morta, scrisse per lei un’elegia che a un certo punto fa: “E di notte nel cielo il tuo splendore / è la costellazione di una chitarra”. Così grazie all’amico Neruda Violeta non suona ma violeta, non canta ma violeta, non ricama ma violeta. Violetear è il verbo del suo creato. Violetando lei crea. E adesso chiudo con una breve nota sulle fonti usate per scrivere questo pezzo: la poesia Talento per cantare è nel bel volume Violeta Parra, Canzoni (cura e traduzione di Ignazio Delogu, Newton Compton 1979), che contiene anche il racconto biografico dell’amico, scrittore e musicista Patricio Manns e un’utile cronologia. Per il lavoro di Violeta come artista è stato prezioso l’accurato volume di Lorna Dillon Violeta Parra’s Visual Art Painted Songs (Springer International 2020). Altre informazioni vengono dalla rete, in particolare dal sito del Museo Violeta Parra aperto a Santiago del Cile nel 2015 (museovioletaparra.cl) e da YouTube, che oltre al suono della voce di Violeta e alle sue canzoni, custodisce piccoli frammenti di film che la riprendono a colori, intenta a mostrare al mondo il suo creato.

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