ARTICOLO n. 66 / 2023

MORIREMO GIOVANI, BRUTTI E GRASSI

La temperatura dell'estate

Per la mia famiglia, andare in vacanza è sempre complesso: nostro figlio Andrea ha paura della spiaggia, non ama la campagna e pur di non camminare farebbe carte false. In più, abbiamo due cani, un gatto e una decina di pesciolini che stranamente sopravvivono malgrado la negligenza un po’ di tutti.

«Cosa possiamo fare quest’estate?», chiedo mentre addentiamo un prosciutto caro come una vacanza ai Caraibi e un melone che non sa di niente. Alex torna a Chicago, dove si è trasferita, e farà dei viaggetti con gli amici. Dopo tutto, ha 24 anni e giustamente si fa i fatti suoi. Vera, che di anni ne ha 16, ci ricorda di aver trovato un lavoretto per l’estate e che ha solo tre giorni di ferie, informazione probabilmente falsa, dettata dalla pochissima voglia di stare con noi. Andrea ascolta per la seicento millesima volta James Taylor.

Per paura che io e Ryan insistiamo per andare in vacanza tutti insieme, i ragazzi lasciano la tavola, dopo aver messo il loro piatto nel lavandino, come se la lavastoviglie fosse lì per bellezza. Ma li capisco: anche a me verrebbe voglia di andarmene in camera. Rimaniamo a tavola io e Ryan, in silenzio, poi mi sento pure dire: «Anche tu, che domande fai? È ovvio che pur di non venire in vacanza con noi e Andrea si arruolerebbero nei Marines…».

Il fatto è che io, Ryan e le ragazze sappiamo bene cosa significa fare un viaggio con Andrea. Essendo lui autistico a basso funzionamento, servono molte precauzioni e anche molta pazienza. Come tutte le persone come lui, la giornata di Andrea è strutturata nei minimi particolari: ogni cambiamento, ogni deviazione dalla sua quotidianità gli procura ansia, panico e terrore, perché non la può controllare. È per questo che anni fa comprammo una casetta in campagna, che Andrea ama: da noi alberghi, viaggi, cambiamenti non sono mai percepiti come una vacanza, ma più come un incubo.

Ma indipendentemente da Andrea, andare in spiaggia negli Stati Uniti di solito è un pacco tremendo. Per una persona come me, di sangue puro mediterraneo, passare anche solo qualche ora su quel mare è un incubo. Manca tutto quello che serve per una vera vacanza balneare, anche scarsa.

Prima di tutto bisogna adeguarsi al colore del mare, l’Atlantico, per me che vivo da questa parte. È marroncino opaco, con molte chiazze verdi o marrone scuro delle alghe, sia quelle vive che quelle in decomposizione, che si legano ai piedi di chi, non so perché, è tentato di fare il bagno. La temperatura dell’acqua atlantica in estate non raggiunge i 20 gradi centigradi: è talmente fredda che in alcune parti della costa è meglio indossare una muta, perché se si passano più di dieci minuti in acqua si muore assiderati. Stesse temperature nell’oceano Pacifico: 20 gradi centigradi ad agosto contro i 26, 27 del Mare Nostrum. Già questi due piccoli dettagli bastano e avanzano per decidere di andare in montagna. L’unica speranza di trovare il mare blu e meno ghiacciato è la Florida, con il suo mare del golfo messicano, ma per molti americani è una meta irraggiungibile, per questioni di soldi e, per alcuni, di politica: Ron DeSantis, il governatore, è quasi peggio di Donald Trump. 

Mettiamo pure che si decida di andare comunque al mare, anche per solo una giornata. Nella maggior parte delle coste americane, non esistono stabilimenti balneari, a parte in alcuni alberghi di gran lusso. Questo significa che alla tipica famiglia americana tocca caricare in macchina ombrellone, sedie, asciugamani, bottiglie d’acqua in grande quantità, panini, frutta e snack da mettere nella borsa freezer portatile, tenda, per ripararsi ulteriormente dal sole cocente, giochi da spiaggia, gonfiabili o no, creme varie, le mute e la speranza che un meteorite si scagli in riva al mare per cambiare programma, anche all’ultimo momento. 

Si riempie la macchina di figli, e del minimo indispensabile per non morire assiderati o cotti dal sole, e si arriva a un parcheggio enorme, mille metri quadrati di cemento armato. Temperatura media: 53 gradi centigradi. Temperatura della sabbia: 95 gradi centigradi. A questo punto tocca scaricare la macchina, facendo avanti indietro trentasei volte tra il parcheggio e il posto scelto in spiaggia. Tempo previsto: mezz’ora. Poi si fissa l’ombrellone nella sabbia, si mettono le vivande all’ombra, si monta la tenda, che dopo quattro minuti massimo raggiunge, all’interno, una temperatura insopportabile. Si suda come delle bestie, sapendo perfettamente che non ci si potrà tuffare per via della temperatura ghiacciata e delle alghe che fanno schifo solo a guardarle.  

A questo punto, i bambini frignano e si spera solo che un gabbiano se li porti via: vogliono subito buttarsi, ma prima bisogna mettere la crema, (“L’hai portata tu la crema? Qui non c’è! Ma è possibile che ti dimentichi sempre tutto?”), bisogna capire come indossare ‘sta muta che ogni volta che la vedo mi sale la pressione (“Ah, mi sono dimenticato le mute in macchina, vado a prenderle!”). Immancabilmente, dopo aver messo la muta, a qualcuno scappa la pipì, ma i bagni, se ci sono, sono a tre chilometri di distanza. In questo esatto istante, uno dei genitori (di solito la mamma) perde il controllo di sé e diventa una belva. Ma tiene duro perché “lo si fa per i bambini”.

La sabbia bollente brucia anche con gli infradito, che si squagliano. Si arriva ai bagni, che sono pubblici e dunque piuttosto schifosi. Tempo previsto tra andata e ritorno: circa 37 minuti sotto un sole che neanche a Riad. Finalmente i bambini entrano in acqua. A questo punto partono quei cinque, sei minuti in cui i genitori bisticciano: “Ma che cazzo siamo venuti qui a fare? Se non possiamo permetterci la Florida, andiamo da un’altra parte, no?” “Ma ai bambini piace…”. “Ma chi se ne frega dei bambini! Ci sono piscine comunali bellissime in tutte le zone della città…”.

Dopo sette minuti nell’acqua schifosa, i bambini pieni di sabbia tornano all’accampamento e hanno fame. “Questo panino non mi piace!” “Perché a lei hai dato quello al prosciutto cotto che era per me?” “Hai portato solo l’acqua? Io volevo il succo…”. L’ombrellone continua a volare via perché spesso noi cittadini non siamo in grado di piantarlo bene. Uno frigna, l’altro ha la sabbia nel costume e si lamenta; la piccola piange perché le è caduto il panino che adesso invece che con il prosciutto è con alghe marce e tanta, tantissima sabbia. 

Una come me, che già si irrita ad andare al mare, anche in Sardegna, perché dopo minuti sette si ustiona, rovinandosi così il resto della vacanza, a questo punto, esausta, versa la prima lacrima. Quando il marito nota lo sfinimento e la frustrazione della moglie, dice la frase più sbagliata, l’ultima goccia che fa traboccare il vaso di una giornata di merda: “Perché non vai in macchina per un po’, così stai tranquilla”. Perché? Perché nella macchina ci sono 297 gradi centigradi, e l’ormai ex-moglie si è sempre ripromessa che se proprio le tocca morire, vorrebbe farlo nel suo letto, mentre dorme. La happy family è in spiaggia solo da un’oretta e già il matrimonio è in crisi e i bambini stanno per essere mandati a quel paese. Insomma, una bella gita.

Capisco la meraviglia che provano gli americani, quando vengono in Italia e decidono di andare al mare, azzurro, non ghiacciato e senza alghe; dove ci sono baretto, cabine, ombrelloni, sedie a sdraio, e tutto il resto. Io mi dico: ma quelli che tornano da una vacanza del genere, perché non pensano di aprire uno stabilimento balneare? Gli americani hanno inventato di tutto, anche l’anguria senza semi, e a nessuno è venuto in mente di offrire ai suoi fellow Americans un’esperienza migliore al mare? E invece no: insistono a sacrificare la propria salute mentale e psicofisica e ignorare l’istinto, forte, di abbandonare i figli capricciosi al largo e di scappare in montagna. 

Dopo tanto discutere, quest’anno abbiamo deciso di andare in macchina fino a Chicago, dove abita Alex. Sono mille chilometri circa, e ci fermeremo due volte all’andata, nello Stato di New York e nell’Ohio, e al ritorno passeremo dal Canada. Così Andrea, che ama viaggiare in macchina, è contento. Ryan e io possiamo ascoltarci tutti i podcast che vogliamo, la musica o al limite bisticciare sulle scemenze, tipo: “Non ne posso più di mangiare McDonalds, possiamo fermarci da un’altra parte?” “Ma ad Andrea piace McDonalds…”. “Ah, OK, moriremo giovani, brutti e grassi, però con Andrea contento…”. “La prossima volta sto a casa”, e cose del genere.

ARTICOLO n. 72 / 2024