ARTICOLO n. 72 / 2025

L’UMANITÀ NUDA DI MASSIMO CANALINI

Nel 1981 compare sui banchi delle librerie italiane un libro destinato a segnare una generazione. Province del rocknroll di Robert Clark non è solo un testo fondamentale sulla musica rock, ma un libro capace di parlare direttamente a un mondo giovanile che agli albori degli anni Ottanta subisce l’onda lunga depressiva di una reazione che al grido di edonismo e individualismo richiama all’ordine e alla disciplina un’intera generazione, spargendone gli amati resti tra aperitivi ed eroina. Il libro è frutto dell’intuizione di un resistente e dissidente perenne come Massimo Canalini che due anni prima, nel 1979, ha dato corpo ad Ancona con Giorgio Mangani, Ennio Montanari e Luigi Narbone (ex compagni di scuola) a Il Lavoro Editoriale, nome ispirato al libro di Luciano Bianciardi, Il lavoro culturale.

Sulla copertina nera si stagliano, in font American Typewriter, il nome dell’editore in alto e il titolo al centro in un colore giallo fluo. In bianco insieme al nome dell’autore i due prefatori: un sintomatico Club Amici di Michel Foucault e Franco Bifo Berardi. Al centro una foto che riprende un fotogramma dal King Kong del 1933 diretto da Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack. Il saggio di Clark offre, al di fuori di ogni paradigma accademico, uno sguardo compiuto su una musica marginale e periferica, ma al cuore dei gruppi suburbani giovanili. Un movimento che sta ben alla larga dal meanstream imperante, ma che è fortemente diffuso nonostante la distrazione dei grandi media.

Province del rocknroll di Robert Clark viene subito colto da Pier Vittorio Tondelli che brama e insegue ogni testo che possa offrire una visione alternativa di una generazione il cui destino si sta compiendo tragicamente tra eroina e AIDS. Nasce un’amicizia tra Massimo Canalini e Pier Vittorio Tondelli dalla cui unione prenderà corpo un’idea di editoria capace di squassare gli equilibri fino ad allora stabiliti. Province del rocknroll è dunque forse il libro che rappresenta più di ogni altro l’inizio e la visione di Massimo Canalini, scomparso due anni fa nel settembre 2024 a sessantotto anni e ora raccontato e giustamente celebrato da chi come Giulio Milani gli fu allievo e sodale oltre che erede predestinato e da alcuni anni al timone di Transeuropa, la casa editrice con cui Massimo Canalini diverrà l’editore delle nuove generazioni.

Milani con Codice Canalini (Transeuropa) da così forma a un memoir vibrante e privo di nostalgia, anche se non manca un po’ d’inevitabile malinconia. Un testo capace di condurre il lettore fin dentro i meandri di una mente tanto geniale quanto dissonante: forte di una capacità visionaria assoluta, ma anche dotata di un’energia caotica non poco sfinente (sopratutto per i suoi interlocutori). Codice Canalini è una decrittazione di un metodo privo di metodo, Massimo Canalini era un attivatore di caos quale elemento necessario e utile a estrarre quel valore letterario fondamentale a dare senso a discorsi e visioni. Dotato di una rarissima capacità di riconoscere il letterario fatta di intuito e sensibilità Massimo Canalini fu da molti giudicato un inconcludente: troppo dedito a sparigliare le carte in un mondo che iniziava allora ad anteporre i bilanci alla creatività, l’organizzazione alla ricerca. Ma proprio il suo vivere in bilico tra realtà e visione, tra provincia e centro del mondo, lo ha portato a vivere l’esperienza ripetuta di un continuo esordio.

Il suo essere una macchina celibe fatta uomo lo ha avvicinato più di ogni altro editore a cogliere voci nuove di generazioni di giovani fino ad allora sostanzialmente ignorate. Unire sperimentazione e successo commerciale fu l’unicità dentro alla quale si mosse con abilità e genialità il lavoro di Massimo Canalini. Negli anni Novanta che vivevano la doppia crisi di un’editoria di progetto ormai agli sgoccioli o comunque fuori tempo massimo e di un’editoria d’impronta manageriale dagli esiti sostanzialmente fallimentari, Canalini impose una terza via attraverso cui una visione anche un po’ anglosassone dell’editoria si univa a un estro tutto italiano. Un movimento po’ da provinciale idiota alla Ermanno Cavazzoni, in cui l’assurdità e l’imprevedibilità però finivano per imporsi fino a divenire il nuovo asse portante e in alcuni casi un oggetto del mainstream. Motivo per cui, ottenuto il successo desiderato, Canalini cambiava subito strada alla ricerca di altre avventure.

Il rapporto con Tondelli dà così corpo a una prima grande rivoluzione, ovvero le antologie Under 25: uno strumento attraverso cui entrare in contatto con una generazione nuova di scrittrici e scrittori. Solo per la prima edizione che comprendeva undici autori la case editrice ricevette circa settecento proposte, tutte vagliate personalmente da Tondelli. La prima antologia esce nelle librerie nel 1987 ancora con il marchio de Il Lavoro Editoriale, le successive del 1988 e del 1990 con il marchio editoriale di Transeuropa che darà poi la cifra di un’intera generazione da Gabriele Romagnoli ad Andrea Canobbio, da Romolo Bugaro a Silvia Ballestra e molti altri ancora. La morte di Tondelli nel 1991 chiude un rapporto durato pochi anni, ma determinante per l’editoria italiane e la carriera di non pochi autori oggi pubblicati dalle maggiori case editrici. L’esempio di Under 25 verrà più volte ripreso sotto forme diverse da altri editori, Stile Libero Einaudi arriverà in libreria nel 1996 con Gioventù cannibale a cura di Daniele Brolli e più recentemente ispirandosi esplicitamente al progetto tondelliano, Matteo B. Bianchi curerà nel 2022 Quasi di nascosto per la giovane casa editrice Accento, un’antologia tra cui spiccano i racconti di Teresa Fraioli e Isabella De Silvestro. 

Quella di Massimo Canalini era una visione post-minimalista che s’ispirava sicuramente alla letteratura di americana, ma che l’editore riusciva a rintracciare nella provincia sparsa tra ingenuità e ambizione. Un lavoro che arrivava fino a un editing in alcuni casi anche volutamente invasivo. L’intenzione di Canalini però non era mai quella dell’addomesticamento, ma quella di rintracciare la voce originale dell’autore. Fiutato il talento poi ne conseguiva un lungo lavoro di scavo che era anche reciproco fra autore ed editore. Non va dimenticato che Canalini si misurava sicuramente con autori di talento, ma pur sempre con ragazze e ragazzi inesperti che contenevano dentro di sé sia il dilettantismo necessario per ambire, ma anche una fiducia e una qualità da scoprire e rivelare prima di tutto a se stessi. E così facendo Canalini ha saputo scoprire tra gli altri: Andrea Demarchi, Enrico Brizzi, Angelo Ferracuti, Luigi Di Ruscio, Guido Conti e Gilberto Severini.

Dopo aver ceduto Transeuropa ha fondato così Cattedrale Libri, la sua ultima avventura editoriale, scrive Giulio Milani in Codice Canalini: «Un tizio che parte per fare l’avvocato e finisce a sviscerare filosofia come fosse un sorbetto da gustare con calma. Ma tutto ha un senso, perché Canalini non era uno che correva dietro a nulla, era il tipo che scavava, scavava e trovava sempre qualcosa di interessante da tirare fuori». Uno scavare però non sempre accettato da tutti, perché quella insistenza poteva venire anche facilmente fraintesa come una ricerca fine a se stessa, o peggio ancora – come nel caso della memoria di Pier Vittorio Tondelli -, atta a scandalizzare e a dividere. Canalini seppe in sostanza farsi molti nemici tra gli amici, ma di certo non si avvantaggiò mai dei possibili amici che spuntavano di volta in volta tra i nemici. Preferì sempre alle offerte lusinghiere dei grandi gruppi editoriali la centralità della provincia in cui il primato era dato a una relazione fatta di lunghe discussioni, pranzi luculliani, bevute, risate e ottimi dischi rock. Mai evanescente e tanto meno vacuo, Canalini ha inseguito un’idea democratica e inclusiva della cultura che poggiasse però le proprie basi non su artefatte teorie accademiche, ma su un’umanità nuda e sempre esposta alle contraddizioni come all’irrazionalità.

ARTICOLO n. 71 / 2025