ARTICOLO n. 12 / 2024

ARTICO

Pubblichiamo la prefazione al volume di Valentina Tamborra, I Nascosti (Minimum Fax). Ringraziamo l’editore per la disponibilità.

La strada liscia e deserta che si staglia sul lato anteriore dell’immagine è ridotta quasi a un punto quando una cresta bassa e scura la tronca a metà, poco prima dell’orizzonte. Sotto le masse e le scie delle nubi si distende un paesaggio verde pieno di fiori, erba e alberi bassi, che mi sembra più «meridionale» rispetto alla tundra canadese di cui ho sperimentato i rigori, ma che annuncia la propria natura nordica attraverso il cartello triangolare con la silhouette di una renna. Valentina ci dice che «la tundra inizia quando non ti aspetti più nulla». 

Per me la tundra è sempre stato il luogo delle mie aspettative più felici, perché è il punto nel quale, in assoluto, mi sono sentito più vicino al cielo. Ma forse farei meglio a rinunciare alle mie aspettative, perché quando leggo che l’Artico si sta riscaldando a una velocità tre o quattro volte superiore rispetto alla zona temperata sento montare la nausea. 

Immagino le case e gli oleodotti che sprofondano in quello che un tempo era il permafrost, e i nomi tradizionali dei luoghi che si dissolvono, precipitando nel passato. In ogni caso, non sono mai stato nel luogo che si chiama Sápmi, e che i miei maestri delle elementari mi avevano insegnato a chiamare Lapponia. Perciò, quel poco che credo di sapere sul Nord e sugli indigeni che lo abitano potrebbe soltanto attirarmi nelle paludi fangose dell’errore, pronte a risucchiarmi dai piedi gli stivali di gomma. Sono un semplice bambino del Sud, intento a fissare le immagini di qualcosa che non sono in grado di capire, sognando disperatamente di trovareuna bacca da succhiare.

Nel sogno nordico di Valentina c’è un paesaggio con una sabbia così bianca, un cielo di un grigio chiaro così uniforme e un mare così metallico, che l’erba rossiccia sotto le sagome dei cespugli non riesce quasi a prevalere sulla sensazione che la foto sia in bianco e nero. Ma il rosso dell’erba finisce per trionfare, in silenzio e con dolcezza. E io mi chiedo perché tutto questo mi renda così felice.

Ecco un paesaggio notturno, con una striscia di neve magicamente illuminata fino ad assumere una tinta grigio-azzurra e, a sinistra, una struttura che ricorda una tenda indiana e che brilla scheletrica; poi una distesa di ombre, l’orizzonte e un cielo chiazzato e spolverato di stelle, la cui tinta verde può derivare dall’aurora boreale. In un’altra immagine l’aurora si solleva ad arco dalla neve, come una gorgonia ondeggiante, a tre strati. In un’altra foto scopro dei fiori che sembrano batuffoli di ovatta e che si levano dall’acqua scura per soffiare il loro polline raffinato oltre un promontorio buio e un cielo inondato di sole.

Nel mezzo delle tenebre si erge una finestra squadrata, al cui interno due uomini siedono uno di fronte all’altro davanti a un tavolo invisibile, con una torcia o una lanterna tra di loro. Non saprò mai chi sono.

In piedi sulla porta dell’Ullkarderi con le pareti rivestite di bianco, dietro il quale si

staglia un pendio d’erba e di ghiaia, una giovane coppia tiene in mano quelli che sembrano stivali di montone. Un uomo, con un giaccone blu e un cappello che ricorda vagamente un berretto basco, con i paraorecchi che penzolano in basso e dietro le sue spalle, è seduto davanti a un tavolino rotondo, con un pezzo di carta pieno di quadrati numerati, mentre attraverso la finestra sullo sfondo si intravede un veicolo bianco su una spianata bianca. Che cosa significa tutto questo?

In un’altra stanza, caffè istantaneo, una teiera, una candela, delle tazze, un recipiente di cartone che potrebbe contenere del latte e due lattine, forse di birra o di qualche bevanda analcolica, occupano un tavolino con una tovaglia triangolare. Sulla parete sono appese foto a colori di paesaggi innevati e di renne.

Una casa buia sta acquattata tra una neve azzurra invasa da scaglie luminose e un cielo azzurro spolverato di stelle, con un pallido sole che si staglia all’orizzonte. L’altro sole è una candela dagli infiniti raggi o una lanterna sospesa tra due volti, dietro una finestra squadrata.

Una donna splendidamente segnata dalle intemperie, con una giacca a vento rossa e una fascia per capelli viola, si erge contro le nubi e uno steccato. Una donna più giovane, con un maglione rosso e una sciarpa slegata, è in piedi in mezzo alla neve, con le punte degli stivali bianche e due pelli appese alla parete dietro di lei. 

Vedo dei ritagli di pelliccia su un tavolino rotondo e pieno di graffi. Ci sono delle ragazze intente a realizzare qualcosa di artistico che non riesco a comprendere, usando lunghi fili colorati o fibre che ricordano quasi ciocche di capelli. Valentina ci dice che l’abito tradizionale dei sami si chiama gákti. Che cosa «significano» questi fili? Su una cosa non ci sono dubbi: questo breve testo può fare tranquillamente a meno delle mie speculazioni da saggio uomo del Sud.

Un uomo e una donna siedono davanti a un tavolo rotondo, sul quale si erge, in piedi, il loro bambino biondo.

Due uomini si appoggiano ai loro buggy della tundra (Valentina li chiama quad; nel Nunavut la gente li avrebbe chiamati four-wheelers), puntando i loro binocoli; se dovessi tirare a indovinare, direi che cercano di individuare le renne. Per quanto tempo ancora? Valentina scrive di un inverno recente durante il quale un caldo innaturale ha sciolto la neve, che durante la notte si trasformava in ghiaccio, impedendo alle renne di pascolare. «Così i sami devono nutrirle e questo nel tempo renderà la vita ben diversa». E in una stanza foderata di legno, che dalle corde e dai giacconi appesi alle pareti immagino sia uno spogliatoio o uno sgabuzzino, un uomo posa per noi con una corda di un rosso scolorito che passa sopra la spalla destra e sotto il braccio sinistro. Una mano rugosa stringe un cellulare con una mappa sullo schermo. Una renna dagli occhi enormi guarda di sottecchi Valentina.

Le sue corna hanno un colore rosa nei punti lasciati scoperti dalla lanugine. Un uomo con le mani sporche di fango o di sangue stringe un coltello contro le ginocchia rivestite di cuoio, mentre, con una pietra, si prepara ad affilare la lama. 

Tra due veicoli un uomo è in posa in mezzo a un mucchio di neve, con una renna morta ai suoi piedi e un’altra in primo piano. Un ragazzino è seduto in mezzo alla tundra e accanto a una casa, impegnato a segare un blocco di legno, mentre sullo sfondo un adulto è appoggiato contro una roulotte, e lo tiene d’occhio. Tra vent’anni, questo luogo si trasformerà in una palude?

Una bambina vestita di rosa si china sopra una renna distesa a terra, alla quale i suoi parenti stanno facendo qualcosa che posso provare a immaginare ma che non riesco a vedere. Un uomo si trascina dietro un panno rosso, mentre alle sue spalle un branco di renne preme contro uno steccato. In piedi nella neve c’è una giovane donna vestita di rosso, che tiene una mano piena di anelli su una grossa cintura nera, decorata di medaglie bianche. Strisce bianche e arancioni le ricadono sul petto, nascoste dalle trecce nere.

Una donna si affaccia a una finestra mentre un uomo affonda le mani in una massa

di pelli o di piume. Un’altra donna, bellissima e inquadrata di profilo, porta una bandana bianca e rossa, ricamata a mano, con dei fili che le piovono all’altezza del cuore. Davanti a una macchina per cucire, una donna più anziana lavora su un motivo bianco e rosso.

Una donna giovane che indossa il suo gákti è seduta sulla sponda di un fiume o di un fiordo, con dei fiori davanti e un cielo pieno di nubi sopra la testa. La mia capacità di comprenderla è ridotta al minimo, come le chiazze di neve sull’altura che si erge oltre lo specchio d’acqua.

Un uomo e una donna sono distesi assieme sopra delle pelli, in una tenda spaziosa. In un’altra immagine, due figure si stagliano in mezzo alla neve, con delle corna al posto delle teste. Sono esseri viventi o effigi? Un volto incappucciato, con gli occhi sgranati, mi fissa attraverso una maschera azzurra.

In una stanza, un uomo e una donna sono inginocchiati uno di fronte all’altra, con dei teschi dipinti e vagamente umani sul pavimento tra di loro, e quello che sembra un teschio di renna sopra i capelli ramati della donna.

Due figure camminano su una strada innevata. Una delle due ha un copricapo di pelliccia, sormontato da un paio di corna. Intorno a un falò notturno, lungo la strada, sono radunate altre figure con pellicce e corna. Una meravigliosa fiumana di renne avanza serpeggiando nella neve, sotto una mezzaluna. Due mani ad artiglio scavano nel bianco, fino a portare allo scoperto il rosso.

ARTICOLO n. 34 / 2024