ARTICOLO n. 73 / 2025

“ALPHA”: IL CAMBIAMENTO È UN PROCESSO

In collaborazione con I Wonder Pictures pubblichiamo un testo su Alpha di Julia Ducournau, nelle sale cinematografiche dal 18 settembre. Scopri le sale qui.

Nel 1990 quello che allora si chiamava Ministero della Sanità e non ancora Ministero della Salute produsse uno spot televisivo destinato a entrare nella storia. Lo spot, girato in bianco e nero e accompagnato dall’inquietante “ah ah ah” del brano O Superman di Laurie Anderson, mostrava persone fare sesso occasionale o usare sostanze stupefacenti, seguite da un alone viola che si trasmetteva da un individuo all’altro, a simboleggiare l’infezione da HIV. La campagna in seguito fu molto studiata non per la sua efficacia, ma per aver contribuito a rafforzare lo stigma contro le persone sieropositive. L’alone viola, racconta chi ha vissuto quegli anni, non era affatto invisibile, così come non erano affatto invisibili gli effetti della malattia sul corpo. Come scrisse Susan Sontag in L’Aids e le sue metafore, rivisitazione del famoso saggio del 1977 Malattia come metafora, a differenza del cancro l’Aids era la malattia della mutazione da uomo a cadavere, personificazione ambulante del castigo divino. Non serviva nessuna aura colorata per capire se una persona aveva l’Hiv.

C’è una scena di Alpha, l’ultimo film della registra francese Julia Ducournau, già vincitrice della Palma d’oro a Cannes nel 2021 con Titane, che mostra quanto Sontag avesse ragione. Siamo in Francia negli anni Novanta e in corso c’è un’epidemia che trasforma lentamente le persone in pietre. La tredicenne Alpha si trova nella sala d’attesa di un ospedale per farsi somministrare un test per scoprire se anche lei ha contratto il virus, dopo che qualcuno le ha fatto un tatuaggio con un ago di fortuna a una festa. Accanto a lei si siede un uomo, o ciò che ne resta, che si sta pietrificando. Lo accompagna il suo partner, che è anche il professore di inglese della ragazza. Le membra ormai irrigidite e attraversate dalle venature del marmo, la polvere bianca che esce con la tosse, il tonfo che produce cadendo sulla sedia, rendono il corpo del malato un oggetto di immediata abiezione: nessuno vuole toccarlo né averlo vicino, e persino il suo compagno si ritrae quando cerca di appoggiarsi a lui. Il suo corpo è marchiato. Alpha lo guarda con apprensione e si rende conto forse per la prima volta del pericolo che potrebbe correre. La sua paura verrà rafforzata dalla convivenza con lo zio tossicodipendente Amin, fratello della madre, una medica di ospedale.

Non c’è dubbio che l’epidemia di AIDS sia stata l’ispirazione principale per questo film. Come ha detto la stessa Ducournau in un’intervista a Vanity FairAlpha è una riflessione su come la paura della malattia abbia condizionato la sua generazione: «Ciò che ricordo è il contagio della paura, l’umiliazione di una parte della popolazione e il modo in cui la società si rifiutò di farsene carico e di ammettere che riguardava tutti. Provavamo tutti a protegge i bambini, ma era una causa persa: le reazioni di paura erano dappertutto», ha detto. Ma ancora prima di essere un film sull’AIDS, seguendo Sontag, Alpha è anzitutto un film sulla mutazione e sull’orrore e la vergogna che essa provoca in una società che vorrebbe che tutto restasse com’è. 

Il tatuaggio che Alpha si fa alla festa è una “A” che sanguina in continuazione, come la “A” rossa cucita sul petto di Hester ne La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne, romanzo di denuncia contro la società puritana del New England e i suoi eccessi. Il corpo di Alpha è destinato a cambiare, non solo perché è stata presumibilmente contagiata dal morbo, ma anche perché ha tredici anni, ha le mestruazioni, fuma di nascosto e ha un mezzo fidanzato che la pressa per fare sesso. Il suo divenire donna, appena accennato, coinciderà con il suo divenire altro, e più nello specifico la cosa più lontana dall’umano: se in Titane la protagonista Alexia si fonde con una macchina, in Alpha la trasformazione in pietra viene evocata solo attraverso l’esperienza altrui, attraverso lo sguardo di chi ha a che fare con questi corpi (con amore o con ribrezzo), i quali, pur mantenendone la forma, non hanno più niente dei corpi.

Sontag aveva notato come l’AIDS, al pari di malattie ottocentesche e ormai quasi leggendarie come la sifilide, procedesse per stadi. Ogni nuova svolta del decorso, ogni malanno che si andava ad aggiungere alla cartella clinica, aggiungeva uno strato di vergogna e umiliazione. Nel morbo di Alpha questa stratificazione diventa visibile, dal momento che il malato è investito arto per arto da un vero e proprio processo geologico. Ogni tappa coincide con un nuovo stadio, che per la giovane protagonista è anche un nuovo stadio di consapevolezza: anche se lo zio Amin aveva già vissuto con lei e la madre anni prima, Alpha aveva rimosso questo ricordo, che torna a mano a mano che lo zio sprofonda nella sua dipendenza. 

Le filosofie del divenire, come quelle di Gilles Deleuze o di Rosi Braidotti, guardano il processo di mutamento con uno sguardo vitalistico. Smettere di essere umani, anche divenendo qualcosa di minoritario, non è una forma di degradazione, ma di liberazione e moltiplicazione. Questo sguardo manca in Alpha, dove l’inevitabilità dei processi biologici è raccontata con disperazione. Non solo non si può tornare indietro, sembra volerci dire Ducournau, ma anche se fosse, non ne varrebbe la pena. Mélissa Boros, la talentuosa interprete della giovane Alpha, sembra ancora una bambina, ma chiaramente non lo è più e, man mano che la sua mutazione va avanti, chi guarda si rende conto che l’infanzia che si sta lasciando alle spalle non ha nulla di speciale da preservare. Il ricordo, il rimpianto e la nostalgia, motivi ormai dominanti nella nostra società, non sono salvifici.

Anziché raccontarci gli anni Novanta goderecci e spensierati che siamo abituati a vedere oggi sugli schermi, Ducournau ci racconta gli anni Novanta delle corsie di ospedale e dei David Kirby, il “volto dell’AIDS”. La registra sembra volerci ricordare che quella che per molti fu un’epoca d’oro, per molti altri fu un’epoca di terrore. Il mondo cambiava velocemente e tutti erano convinti che sarebbe cambiato in meglio. Ma il cambiamento è un processo, sembra volerci dire Alpha, non un semplice passaggio da “A” a “B”. E l’unico atteggiamento possibile di fronte a esso è quello di accettarlo, anche se sembra portarci soltanto dolore.

ARTICOLO n. 72 / 2025