Peter Singer

ARTICOLO n. 40 / 2024

MANGIARE CRITICAMENTE

intervista di isabella de Silvestro

Peter Singer, filosofo australiano, è vegano da più di cinquant’anni. Nel 1975 ha pubblicato Liberazione Animale, un saggio tradotto e venduto in tutto il mondo che ha contribuito alla nascita del movimento per i diritti degli animali. Singer è un filosofo utilitarista e si definisce consequenzialista: crede che le azioni debbano essere giudicate dalle loro conseguenze. L’azione giusta è quella che porta il beneficio più grande al maggior numero di persone e animali non umani. 

Nuova liberazione animale (Il Saggiatore, 2024) è dunque il ritorno, in edizione aggiornata, di uno dei saggi più influenti del secondo Novecento: un’opera che ha cambiato per sempre il nostro modo di guardare agli animali, ai loro diritti e alle nostre scelte come individui e società.

Isabella De Silvestro: Perché è così difficile passare dall’accettazione razionale del fatto che uccidere gli animali e sottoporli a condizioni di vita orribili per nutrirsi sia sbagliato, alla pratica di smettere di consumare prodotti animali?

Peter Singer: Credo che la ragione principale sia che ciò che mangiamo ha radici culturali molto profonde e per di più è una pratica sociale, qualcosa che in genere non facciamo da soli. Questo rende difficile un cambiamento, soprattutto se motivato eticamente. Se immaginiamo un cambiamento motivato dalla salute, per esempio da un’intolleranza al glutine, siamo sicuri che la gente lo accetterà e non avrà alcun problema nell’offrire alternative gluten free. Quando invece si smette di mangiare carne perché si pensa che sia sbagliato trattare gli animali nel modo in cui vengono trattati, si tratta di una scelta che implica una critica a chi sceglie di continuare a mangiare carne. È già abbastanza difficile cambiare qualcosa che si mangia da molti anni, ma è ancora più difficile farlo se ciò implica una critica sociale.

I.D.S. Ha iniziato a battersi per i diritti degli animali sulla base di argomenti razionali e intellettuali o di una spontanea empatia e compassione?

P.S. Si è trattato senza dubbio di una presa di posizione filosofica. Non provo emozioni particolari nei confronti degli animali. Non mi considero un amante degli animali, non ho e non voglio avere animali domestici. Credo sia stata una decisione razionale che ho preso dopo essermi reso conto dello stato delle cose. Ho approfondito le condizioni di vita degli animali non umani negli allevamenti intensivi e mi sono chiesto se ci fosse un modo per giustificare tutto ciò: ho deciso che non c’era. È facile pensare che si debba avere un legame speciale con gli animali per decidere di non mangiarli, perché chiunque non sente quel legame può sentirsi esonerato dal prendersi certe responsabilità.

I.D.S. Anti-specismo e ambientalismo vanno necessariamente di pari passo? In particolare, crede che l’ambiente abbia un valore intrinseco o solo in quanto habitat di esseri capaci di provare dolore?

P.S. Non credo che l’ambiente abbia valore intrinseco. Ha un grande valore strumentale e pratico per sostenere la vita degli animali umani e non umani, ma non attribuisco valore di per sé a qualcosa che non è in grado di avere coscienza. C’è certamente un potenziale conflitto tra l’attivismo ambientalista e l’attivismo antispecista, ma in termini pratici di solito collaborano senza problemi. Se si parla di dibattito filosofico, le persone con la mia posizione avranno di che discutere con chi pensa che l’ambiente abbia un valore in sé: ho sostenuto questo genere di dibattito e se ne trova testimonianza in alcuni miei libri. Ma in termini pratici stiamo lavorando insieme perché proteggere le foreste e ridurre il cambiamento climatico è un obiettivo che fa bene alla causa anti-specista e viceversa.

I.D.S. Quanto è stretto il legame tra sfruttamento degli animali e capitalismo? Lei parla di case farmaceutiche che conducono test sugli animali non necessariamente per il progresso scientifico o medico, ma per il profitto. Perché la parola “capitalismo” è assente nel suo saggio?

P.S. Certamente il capitalismo è un sistema che, se messo in atto in una società che ha un atteggiamento specista e tratta gli animali come oggetti e non come esseri senzienti, espande enormemente le sofferenze di questi perché è un sistema altamente produttivo ed efficiente ed è guidato dal profitto, quindi farà di tutto per produrre beni al minor costo possibile. Ma la radice del problema non è il capitalismo. Lo stesso accadrà in una società socialista se avrà il medesimo atteggiamento nei confronti degli animali. L’Unione Sovietica trattava gli animali proprio come le società capitalistiche occidentali, quindi penso che la radice del problema sia l’idea che i diritti degli animali non contino. Il capitalismo peggiora la situazione perché è più produttivo.

I.D.S. Lei parla spesso di responsabilità nei confronti delle parti più povere del mondo. Come possono partecipare alla lotta per i diritti degli animali persone con risorse limitate o provenienti da comunità svantaggiate? È giusto che se ne preoccupino?

P.S. Il lettore che io immagino quando scrivo i miei libri sulla causa antispecista è un lettore che ha la scelta di smettere di mangiare carne avendo comunque accesso a una dieta sana e nutriente. Se immaginiamo una persona che vive in condizione di svantaggio e per la quale smettere di mangiare carne o prodotti di origine animale significherebbe non soddisfare il proprio fabbisogno di proteine, credo che in questo caso la moralità della situazione cambi. La lotta antispecista non sarebbe una sua priorità e non mi sognerei di chiedere di rinunciare alla carne. Farebbe un sacrificio molto più grande di quello che fa una persona come me, che può entrare in un supermercato e permettersi tutta una serie di alimenti da cui trae ottimo nutrimento. La responsabilità è di chi ha il privilegio di poter scegliere.

I.D.S. Come risponderebbe a chi sostiene che la caccia non sia necessariamente negativa, dal momento che permette di evitare la dipendenza dalla grande distribuzione e dagli allevamenti intensivi?

P.S. Chi caccia animali selvatici che conducono una vita interamente libera e vengono uccisi nel modo più veloce e indolore possibile arreca meno danno rispetto a chi compra la carne al supermercato. Questo lo capisco. Sicuramente un cacciatore si sta in qualche modo prendendo la responsabilità per la propria scelta: mi sembra più rispettabile del consumatore che scarica su altri l’uccisione dell’animale. Però chiederei comunque: è necessario uccidere animali?

I.D.S. Quanto è importante l’attivismo nella lotta per la liberazione degli animali? Crede che possa raggiungere traguardi politici significativi?

P.S. Io penso che l’attivismo sia fondamentale. È difficile ottenere un cambiamento solo attraverso articoli accademici. Una pressione martellante sulla politica può essere efficace e lo è stato in Unione Europea, ad esempio, molto più che negli Stati Uniti. Ma l’attivismo ha ottenuto risultati anche negli Stati Uniti, dove si rivolge più spesso alle grandi corporation. Qualche settimana fa McDonald’s ha annunciato che userà solo uova di galline allevate a terra. Lo avevano annunciato nel 2015 ma sono stati necessari dieci anni per assicurarsi una fornitura adeguata, dal momento che allora il 90% delle galline negli Stati Uniti erano allevate in gabbia e McDonald’s usa più di 2 miliardi di uova all’anno. 

I.D.S. Lei è un filosofo. Si considera anche un attivista?

P.S. Sì. Ho preso parte a molte proteste e dimostrazioni. Sono stato arrestato per il mio attivismo in Australia, qualche anno fa. Siamo entrati di notte in un allevamento di maiali dove gli animali venivano trattati particolarmente male: avevano catene intorno al collo e potevano muoversi a malapena. Abbiamo contattato i giornali perché tutti potessero vedere cosa accade negli allevamenti intensivi. 

I.D.S. Il libro The Sexual Politics of Meat di Carol J. Adams esplora il legame tra l’oppressione degli animali e quella delle donne nella società occidentale. Adams sostiene che il modo in cui gli animali vengono trattati nella produzione di carne riflette e perpetua dinamiche di potere che contribuiscono all’oppressione delle donne, viste come semplici agenti riproduttivi. Ritiene che un approccio intersezionale sia più efficace?

P.S. Io penso che sia un approccio interessante, ma non penso che il movimento animalista dipenda dalla validità di un approccio del genere. Si può usare per attrarre il movimento femminista verso quello antispecista e ben venga. Ma si può anche sostenere che sono cose diverse. L’obiezione a ciò che facciamo agli animali non dipende dal legame con ciò che facciamo alle donne. Puoi ritenerla una connessione valida ma non è necessaria.

I.D.S. C’è un Paese in cui ritiene che le sue idee siano più facilmente accettate e in cui la direzione presa, anche a livello politico, sia quella dell’antispecismo?

P.S. Ci sono posti dove c’è una forte minoranza che rispetta i diritti degli animali ma non conosco nessun posto dove questo atteggiamento è dominante. C’è molto più rispetto di queste idee in alcuni paesi europei. 

I.D.S. Cosa pensa della carne sintetica?

P.S. Credo che, se sarà prodotta in larga scala e riuscirà ad avere un prezzo competitivo, sarà un’ottima cosa. Però è un processo molto lento. In questo momento è molto più fattibile comprare prodotti plant-based che imitano la carne. Ho assaggiato del pollo creato in laboratorio a Singapore, per curiosità. Ma sa, molti vegani provano disgusto per il sapore della carne perché per anni lo hanno associato alla sofferenza animale, quindi non ne sentono la mancanza. Potrà essere un prodotto utile per chi continua a volere il sapore della carne.

I.D.S. Il futuro sarà vegano?

P.S. Lo spero, ma manca tanto. C’è una preoccupazione crescente per le condizioni degli animali e un’estensione della compassione per altri esseri viventi, che non è più necessariamente limitata alla nostra specie. Il futuro è sempre difficile da prevedere ma la strada intrapresa mi sembra quella giusta.

I.D.S. Le piacciono gli Stati Uniti?

P.S. Ci sono molte cose che mi piacciono e ce ne sono altre che sono semplicemente terribili. Insegno all’università di Princeton da 24 anni. Dal punto di vista sociale preferisco l’Australia, per molte ragioni, ma io negli Stati Uniti ho una posizione molto privilegiata. Princeton è un’università meravigliosa, un posto ottimo per insegnare e lavorare. Credo però che il Governo degli Stati Uniti sia disfunzionale, che la Costituzione dei padri fondatori vecchia di duecento anni presenti delle criticità e che l’idea di un Presidente indipendente dal Congresso non funzioni bene come una democrazia parlamentare. La Bill of Rights viene interpretata dalla Corte Suprema in modi terribili, inclusa l’idea per cui permettere a tutti di possedere armi equivalga a difendere la libertà. Negli Stati Uniti si crede anche che in nome della libertà di espressione non si possa proibire alle persone di donare enormi quantità di denaro a candidati o partiti politici: significa che è il denaro l’elemento dominante nel sistema elettorale americano.

I.D.S. La disuguaglianza è di per sé sbagliata?

P.S. Potremmo dire che una piena uguaglianza sarebbe la situazione ideale ma credo che non sia qualcosa di realizzabile, tenuto conto di come sono gli esseri umani. Non è realizzabile senza un controllo statale forte, pervasivo e invadente, e un controllo del genere non è desiderabile. Sono convinto che sia fondamentale che i governi si preoccupino del benessere dei più fragili, sostengo l’eticità del welfare, del reddito di base universale, dell’assistenza sanitaria gratuita. Ma un’uguaglianza come quella auspicata dagli utopisti o dai socialisti non è desiderabile perché il prezzo da pagare sarebbe troppo alto in termini di controllo.