Olivia Laing

ARTICOLO n. 32 / 2021

CRUDO

Kathy, e con lei intendo io, si stava per sposare. Kathy, e con lei intendo io, era appena scesa da un volo proveniente da New York. Aveva ottenuto un upgrade in prima classe, si sentiva molto chic, aveva comprato al duty free due bottiglie di champagne in confezione cartonata arancione, d’ora in poi era questo il tipo di persona che sarebbe stata. All’aeroporto era venuto a prenderla l’uomo con cui Kathy viveva, che presto sarebbe diventato l’uomo che avrebbe sposato e che presto, presumibilmente, sarebbe diventato l’uomo che lei aveva sposato e avanti così fino alla morte. In macchina, lui le raccontò che era stato a cena con l’uomo con cui lei, Kathy, andava a letto, insieme a una donna che conoscevano entrambi. Avevano anche bevuto champagne, le disse. Risero un sacco. Kathy smise di parlare. Questo era il punto in cui la sua vita faceva una brusca svolta, anche se di fatto l’uomo con cui andava a letto non avrebbe rotto con lei per altri cinque giorni, su carta intestata. Lui pensava che due scrittori non dovessero stare insieme. Kathy aveva scritto diversi libri: Great Expectations, L’impero dei non sensi, immagino che ne abbiate sentito parlare. L’uomo con cui andava a letto non aveva scritto nessun libro. Kathy era arrabbiata. Voglio dire, io. Io ero arrabbiata. E poi mi sono sposata.

Due mesi e mezzo dopo, pre-matrimonio, post-decisione di sposarsi, Kathy si ritrovò in Italia. Aveva fatto il colloquio all’Ufficio di stato civile, non conosceva la data di nascita di suo marito ma nessuno aveva pensato che lei, o lui, potesse essere vittima di tratta. Erano educati, avevano scelto le canzoni, lei aveva insistito per Maria Callas perché la sobrietà non era nel suo stile. Adesso, 2 agosto 2017, era seduta sotto un nido di calabroni in Val d’Orcia. C’erano tanti altri posti in cui avrebbe potuto sedersi, ma si era affezionata ai calabroni. Ieri gliene erano cascati due sulla gamba, ancora avvinghiati a scopare. È di buon auspicio, aveva detto il suo amico Joseph quando lei glielo aveva raccontato per mail.

Aveva ingranato una bella routine. Per prima cosa si faceva venti vasche in piscina per svegliarsi come si deve. Poi beveva il caffè, poi piazzava una sdraio sotto l’albero dei calabroni. Alle dieci si faceva portare un altro caffè da suo marito. Non aveva mai avuto un marito prima, ma sapeva quali erano le dinamiche. Kathy era gentile? Mah. A Kathy interessava l’abbronzatura, interessava Twitter, interessava vedere se qualcuno dei suoi amici stava facendo una vacanza più bella della sua. Accanto a lei, suo marito si stava sfilando il costume bagnato sotto un asciugamano verde. Tutto era più bello rispetto a casa. Non un pochino più bello, ma profondamente, come se ogni materiale fosse stato reinventato da una specie più intelligente. Kathy e suo marito erano finiti per caso in vacanza con i super ricchi.

Ovviamente non si mimetizzavano per nulla. E neanche ci provavano. Mangiarono spuma di patate con aria contrita, schizzarono la passata di pomodoro e il gelato alle prugne e cardamomo su ogni maglietta che possedevano. C’era un servizio di lavanderia ma erano preoccupatI dal costo. Magari avrebbero potuto vestirsi di scuro o cercare una tintoria a Roma.

Era la giornata più luminosa che si potesse immaginare. C’era un che di strano nel cielo, non era né sereno né nuvoloso, una via di mezzo. La luce non era tutta concentrata nel cerchio del sole, ma ovunque, contemporaneamente, come stare dentro una lampadina alogena. Kathy aveva mal di testa. Internet era in fibrillazione perché il presidente aveva appena licenziato qualcuno. Assunto, mollato dalla moglie, diventato papà e licenziato nel giro di dieci giorni. Come un moscerino della frutta, aveva scritto qualche burlone. Piace a 56152 persone. Niente di tutto ciò era divertente, o forse sì.

Kathy non aveva i genitori, ma ciò non impediva loro di turbarla. Ci pensava parecchio. Sua madre si era suicidata, suo padre era sparito prima ancora che lei nascesse. Era un’orfana, in puro senso dickensiano. Infatti suo marito la chiamava Pip, a volte «la Pip». Lui era un uomo molto gentile, indiscutibilmente gentile, piaceva a tutti, impossibile che non piacesse. L’ho sempre considerato un amico al di fuori della cerchia dei poeti, aveva scritto Paul Buck congratulandosi per il matrimonio che ancora non c’era stato per poi raccontare l’aneddoto di quella volta che lui e Kathy non erano riusciti a fare sesso.

Faceva sempre più caldo. Trentuno gradi, trentasei gradi, trentotto gradi. Divampavano incendi in tutta Europa. Uno era cominciato perché qualcuno aveva lanciato un mozzicone di sigaretta dall’auto. Kathy era in piedi in piscina con l’acqua alla gola e non pensava a niente. Le sue voglie sono così radicate che non c’è modo di estirpargliele, aveva scritto nel paragrafo finale del suo ultimo libro. Le si era tappato un orecchio e ogni ora o giù di lì si liberava per un attimo ma poi ecco, qualcosa risaliva di corsa, tipo un grosso pezzo di gomma da masticare, tipo un calzino. La sensazione che qualcosa le premesse dentro era fastidiosa, la buttava giù. Al bar suo marito lesse l’elenco dei clienti famosi dello chef dell’hotel. Chi è Rachael Ray, diceva, chi è Gloria Estefan, chi è Peyton Manning? Lei non sapeva chi fosse Peyton Manning, ma rispose sugli altri.

Ecco cosa mangiarono. Mangiarono porchetta arrosto e porchetta su rucola. Mangiarono una specie di crema allo yogurt con una spolverata di lavanda e minuscole meringhe. Mangiarono carré di agnello e carbonaro dell’Alaska e pici al ragù di maiale. Stavano decisamente ingrassando. Hai notato, gli chiese, che qui tutti hanno la moglie più giovane? Sembrava il club delle seconde mogli. Lei era una terza moglie, quindi almeno su quel piano si integrava alla perfezione.

Ciò che Kathy voleva al momento era complicato da spiegare. Voleva tre o quattro case in modo da potersi spostare dall’una all’altra. Era al massimo della felicità quando viaggiava, come un giocattolo a molla, forse addirittura più felice quando disfaceva i bagagli o comprava un biglietto del treno. Le piaceva entrare e sistemarsi, le piaceva chiudersi dietro la porta. Voleva scrivere un altro libro, ovviamente, e voleva trovare un modo per non ambientarlo da nessuna parte. Da nessuna parte come gli spazi interni del corpo, da nessuna parte come le zone morte di una città. Era una newyorkese, non era fatta per l’Europa né tantomeno per un umido giardino inglese. L’erbaccia era un’insidia, aveva il terrore delle tarme e della muffa. Invece le piacevano le lucertole, non solo per le loro minuscole zampette guizzanti ma perché erano incredibilmente aride. Kathy amava l’aridità, nella vita era stata quella che rincorre ma ora che finalmente si era sistemata stava scoprendo in lei un’anomala predisposizione per la reticenza, come se si fosse trasformata in uno dei tanti uomini che aveva inseguito a Berlino, a Londra, a San Diego. Negli anni novanta, quando era giovane, si metteva a piangere e si dilaniava le membra in un batter d’occhio, le piaceva toccare il fondo dell’umiliazione, ma adesso si era inaridita, era fredda, bruna e piatta come una fetta di toast scartata, non esattamente appetitosa, non desiderabile, ma valida come mangime per qualcuno, quanto meno per un piccione.

Stava invecchiando? Kathy era preoccupata dall’invecchiamento, non si era resa conto che la giovinezza non è uno stato permanente, che non sarebbe stata in eterno un’adorabile scapestrata a cui si perdona tutto. Non era stupida, solo avida: voleva che fosse sempre la prima volta. Quando pensava alle persone con cui aveva popolato la sua giovinezza rabbrividiva di vergogna. Avrebbe potuto viverla in modo molto più glamour, molto più disinvolto, avrebbe potuto risparmiarsi il taglio di capelli a scodella, avrebbe potuto risparmiarsi la salopette, i minuti passavano, non era riuscita a bloccare il tempo nella presa della morte. Adesso era cool, ma vecchia; adesso era sexy, ma con le rughe. La mia vita è delicata (più della mia fica), aveva scritto a un ragazzo non molto tempo fa. Ho abortito undici volte, aveva detto a un altro, ma non era vero. Kathy mentiva sempre, mentiva sin da quando era una bambina con degli insulsi capelli rossi. E quando cominciarono a caderle, per lo stress della convivenza con sua madre, disse alle compagne di classe che glieli aveva mangiati il coniglio. Nel cortile di scuola si giocava a un gioco dove tutte cercavano di ipnotizzarsi e poi di sollevare il corpo di un’altra con la sola forza dei mignoli. La ragazza da sollevare doveva stendersi a terra e tutte dovevano spingerla più forte che potevano. A questo punto era facile sollevarla. L’assenza di gravità era un’altra prerogativa esclusiva dei giovanissimi. Col tempo si comincia a cigolare come lattine attaccate a una macchina.

Quello che Kathy avrebbe dovuto fare erano i preparativi per il matrimonio. Li faceva guardando foto su Instagram e commentando con frecciatine poco benevole. È molto volgare, dicevano lei o suo marito. Sedie, tavoli, tovaglioli, tutto molto volgare. Di questo passo avrebbero finito per sposarsi in un parcheggio.

Kathy amava suo marito. La sera prima erano stati costretti a fare una lettura insieme, una roba che non la faceva impazzire, eppure si era scoperta contenta di ascoltare le poesie di lui, come se qualcuno rigirasse una chiave nella serratura della lingua – è inceppata, è inceppata – e poi di colpo la spalancasse. Chissà perché, alla lettura presenziavano tre psichiatri, uno dall’aria molto eminente e due di Sheffield, ancora in costume da bagno. Un aristocratico seduto in fondo fece delle domande. C’è speranza per tutti noi, disse inspiegabilmente. Quella sera Kathy si ritrovò seduta a tavola accanto a lui. Felicia, Felicia, disse lui, ecco la scrittrice. Felicia aveva il trisma tipico dei veri snob. Kathy si ritirò nel suo amuse-bouche, una scheggia bianca di pesce, e aspettò che quel momento passasse.

Domani ci saranno quarantuno gradi, disse suo marito. Centosei tradotto in Fahrenheit. Allora quando in India e nei Paesi del Golfo la temperatura arriva a cinquanta, fa caldissimo. Non c’è da stupirsi se muoiono. Parliamo di quasi trenta gradi Fahrenheit al di sopra della normale temperatura corporea. Lui indossava una t-shirt rosa e la gamba sinistra, che si era scottato all’inizio della settimana, aveva cominciato a spellarsi. Da qualche parte si azionò un trapano. Kathy stava annotando tutto sul suo taccuino, e all’improvviso le era venuta l’ansia di esaurire il presente e di ritrovarsi in prima linea, sola sulla cresta del tempo – assurdo, ma ci pensi a volte che non possiamo muoverci tutti insieme, attraversare tutta quanta la verdeggiante simultaneità della vita, come squali che si rivelano all’improvviso in un’onda che si infrange? Forse quei pensieri accelerati presagivano un’emicrania, forse. Su Twitter era scomparsa una fotografa cinese. L’ultima volta era stata vista al funerale del marito, che aveva vinto il premio Nobel per la pace per poi trascorrere il resto della sua vita in prigione. Kathy aveva visto una foto di lei, trincerata dietro i suoi occhiali da sole. Comunque era scomparsa. E c’era stata una dichiarazione del governo che le era rimasta impressa, qualcosa a proposito di ceneri disperse in mare, giusto? Quando le accuse su Jimmy Savile erano diventate plausibili, la sua lapide era stata rubata nottetempo, ridotta in ghiaia e utilizzata per asfaltare le strade. Anche questo non le suonava troppo, ma Kathy ricordava così. Le ceneri di Jimmy Savile potevano essere ovunque ormai, appiccicate alle gomme delle auto, in rotta lenta e irrevocabile lontano dall’isola, soprattutto e ovviamente sui traghetti. Il male era un soggetto interessante, Kathy non era schizzinosa, aveva lavorato per anni in uno strip club di Times Square, conosceva gli appetiti e gli occhi da triglia. Faceva un numero in stile Babbo Natale, qualsiasi cosa pur di non annoiarsi, mostrando agli occhi del mondo le sue tettine piatte come uova fritte. Nessuno sa niente della vita se non ha respirato appieno quell’aria di piscio e faccia tosta, oh e Kathy aveva visto davvero di tutto. Voglio sapere perché il presidente è sempre un puttaniere e mai una puttana, scrisse Zoe Leonard in una poesia famosa e molto citata, e Kathy pensava che fosse una domanda valida ancora oggi, perché certe persone compravano e non vendevano mai?

Aveva quarant’anni. Aveva affrontato due volte il cancro al seno, aveva evitato per un soffio di prendersi una malattia sessualmente trasmissibile, aveva passato più tempo al reparto malattie veneree che a casa sua. Aveva posseduto svariati appartamenti in diversi paesi, li vendeva e li comprava cercando di guadagnare dalle fluttuazioni di mercato, per lo più perdendoci. La gente la fotografava spesso, aveva abbandonato il vecchio look, non aveva più i capelli rasati, adesso era una vera bionda ossigenata. In camera sua era appeso un vestito Chanel di seconda mano, troppo pesante per il clima di qui, era stato da stupidi metterlo in valigia, anche se nutriva qualche speranza per Roma. Fa caldo a Roma? chiese al marito e lui rispose con un grugnito. Quindi forse era solo uno spreco di spazio, e vabbè. L’indomani dovevano andare a cena con un famoso cantante d’opera, proprio qui, sulle colline toscane. L’aristocratico passò davanti a loro sciabattando. «Non male come vita» disse. Insparring. Aveva organizzato un toga party per quella sera ed era preoccupato per il rumore. Kathy si era già lamentata con il proprietario dell’hotel perché degli ospiti avevano fatto volare un drone sopra la sua sdraio. Non le piaceva essere osservata e non le piaceva il rumore, che all’inizio aveva scambiato per quello di un’ape particolarmente su di giri. Il proprietario si era detto d’accordo con lei, aveva molti ospiti famosi, nomi di quelli che si riconoscono subito, quindi questo non era il posto per i droni. Allora Kathy pensò che anche lei era una sorta di drone e forse ciò che stava facendo, riportare tutto sul suo taccuino, non era proprio di buon gusto.

© 2018 by Olivia Laing

— Questo estratto è ripreso dalle prime pagine del nuovo libro di Olivia Laing, Crudo, tradotto da Francesca Mastruzzo, in libreria dal 24 giugno.