Claudia Grande

ARTICOLO n. 12 / 2023

LETTERA AL MIO AMICO AMADEUS

Pubblichiamo un estratto dal romanzo d’esordio di Claudia Grande, Bim Bum Bam Ketamina (Il Saggiatore). La voce che ci accompagna allinterno di questo gorgo terribile ed esilarante è quella del tuttofare Roberto, trentenne senza ambizioni e senza soldi, creatura crudele e ingenua, «uomo in affitto» che si procaccia sempre lavori mal pagati.

Torino, la data non è importante

Caro Amadeus, 

se ho deciso di scriverti è perché, come succede ogni volta che scrivo a qualcuno che amo, per poi rendermi conto che quel qualcuno non ci capirebbe un’acca, finisco per contraddirmi e, scioccamente, gli scrivo lo stesso. Dopodiché mi lambicco il cervello, mi tartasso con ferocia le sinapsi, desumo che il problema non è il mio messaggio, la lingua in sé, ma il rapporto instaurato tra me e quella persona, la specifica risma di detti e non detti che hanno plasmato il nostro modo d’intenderci, e allora penso (ancora) che dovrei fregarmene del rapporto corrente (soprattutto se è in piena crisi, come nel nostro caso), dovrei sbattermene i cosiddetti di quanto questo rapporto sia vero o finto, felice o infelice, traballante o gravemente compromesso, perché quella cosa, quella specifica risma di sentimenti, ho bisogno di comunicarla comunque: voglio estroflettermi alla faccia degli altri, portarmi al di fuori di me – e Ginevra, la mia psicoterapeuta, sarebbe felice di questo strabiliante progresso nel condividere le mie emozioni piuttosto che reprimerle fino a farmi venire l’ulcera; allora concludo che, per il bene di tutti, mio e della persona coinvolta nel rapporto, il messaggio devo scriverlo, certo, ma provando a non dilungarmi, sebbene non sia proprio il mio forte… 

Caro Amadeus, se ho deciso di scriverti (una lettera, non un messaggio) è perché la maestra delle scuole elementari diceva che, au contraire, il bambino prodigio chiamato Roberto avesse grandi doti di sintesi, quindi eccomi qui, ecco che tento di comunicare ciò che provo, sebbene quello che provo sia delusione – una grande, gigantesca, incandescente amarezza. 

Non avrei mai pensato che fosse possibile – non con te; eppure, mi hai tradito anche tu. 

Non avrei mai pensato che tu, come tutti gli altri, fossi un egoista infingardo; ma è questo che nascondi dietro al pizzetto finemente curato, dietro a quell’aria da padre e marito perfetto. Ora ho visto, ho vissuto sulla mia pelle; e quindi no, non ci casco più. 

Non voglio ricordare i bei momenti passati insieme. 

Non voglio fare l’elenco delle esperienze che ci hanno emozionato – FestivalbarBuona DomenicaIl QuizzoneMeteoreMatricole; lo slancio verso Leredità, dove hai conosciuto la bellissima Giovanna; la Maratona Telethon, i Soliti IgnotiArena Suzuki 60 70 80… il coronamento di una carriera stellare con tripla conduzione del Festival di Sanremo. Anche quadrupla, dicono alla RAI. Io c’ero, ci sono sempre stato. Pensa che mia madre preparava una torta per ogni tuo successo televisivo. Ti volevamo bene, capisci?, te ne volevamo sul serio; ma da ieri, dal Truth or Dare Show, qualcosa è cambiato. 

Quella cosa ha un nome, sebbene io non lo conosca; e possiede (permettimi di dirlo) un indecente cappellino verde con la visiera obliqua, che non va più di moda nemmeno tra i tossici e i rapper, figuriamoci in televisione. 

Devi sapere che mi sono accorto dell’uomo col cappellino. Non ci capiva un’acca, di quello che stava facendo.
Le inquadrature che ha suggerito al cameraman erano tutte banali, storte o sbagliate.
E non hai visto che inciampava sui cavi, rischiando di far saltare le luci?
Avrebbe rovinato il tuo programma, la tua carriera, perché di questi tempi un singolo errore può costarti tutto, ogni goccia di sudore faticosamente versata. Io ci tengo a un Amadeus iv, v, xii al Festival di Sanremo; ed è per questo che ho infilato i miei volantini nelle buche delle sedi RAI (città di Torino): via Giuseppe Verdi numero 16 e 14, via Carlo Cavalli numero 6, persino all’Auditorium, in via Gioacchino Rossini, e il risultato è stato l’uomo col cappellino. 

Non mi hai risposto; hai preferito lui. 

Non hai notato che Roberto, l’Uomo in Affitto, ha un impressionante curriculum da tecnico del suono, aiuto regista, provetto imbianchino e lava‐pavimenti? È possibile che, tra tutte le candidature avanzate da fanfaroni provenienti da ogni parte d’Italia, la mia fosse in assoluto la peggiore? 

Non ci credo.
È del tutto irrealistico.
Credo, piuttosto, che fosse un imbroglio attentamente programmato.
L’uomo col cappellino, che ha rovinato la puntata più bella del Truth or Dare Show, che ha fatto inquadrare Remo in ombra e decentrato prima che cadesse nel Buco, non può essere più bravo di me. È più raccomandato – verosimilmente da te, perché sei tu che gestisci il programma, sei tu che godi a circondarti di sciattoni e smargiassi pescati chissà dove, come la stupida Guendalina, che non sa distinguere il colore della tua pelle da quello della pelle di Carlo Conti. Carlo Conti, porca puttana! Praticamente un aspirante congolese. Non ho mai fatto il truccatore in vita mia, ma ti assicuro che la tua pelle la conosco a menadito, molto meglio dell’incapace conclamata che risponde al nome di Guendalina Nonsoché.

Saprei truccarti.
Saprei sceglierti i vestiti migliori.
Saprei offrirti le migliori inquadrature, le più grandi abbuffate di audience e share; e se dovesse servire qualcuno che aggiusti un rubinetto o una maniglia, beh, io saprei fare anche quello. 

Perché in RAI assumete tutti questi incompetenti e non date una chance a me

Perché tu, Amadeus, non hai custodito i miei volantini, non ti sei neppure degnato di leggerli, preferendomi l’uomo col cappellino, la truccatrice balorda, chissà quale altro citrullo, votando il Truth or Dare Show al fallimento completo? Andrete in rovina, con una squadra del genere a pasticciare dietro le quinte. Con uno come me, invece, sarebbe un successo. 

Che dire, ora?
Mi sento in imbarazzo.
Per te, ovvio; ma anche per me.
Perché… ho pensato che fosse colpa mia, Cristo!, che non mi fossi venduto bene; e allora mi sono reinventato, ho riscritto i volantini da cima a fondo, vi ho consegnato anche quelli, sperando di ricevere risposta, e invece niente, ancora, estenuante silenzio. Ecco uno dei nuovi volantini. Te lo incollo qui sotto, sia mai abbia voglia di leggerlo: 

IL TUTTOLOGO 

*** 

TRASLOCHI E SGOMBERI 
cantine, solai, alloggi, magazzini, uffici, negozi… 

EDILIZIA GENERALE 
ristrutturazioni, demolizioni, costruzione di cucce per cani (cani o gatti, a seconda dell’occorrenza), tinteggiatura/decorazioni (di interni ed esterni), impianti idraulici/elettrici/quant’altro, pulizie post lavoro incluse nel preventivo, e ancora… 

PICCOLI LAVORI – DOMESTICI E NON 

REGIA, AIUTO REGIA, PRESENZA SCENICA IN TELEVISIONE,
cucitura e scucitura bottoni, riparazione perdite, controllo caldaia, pulizia muffe, estirpazione funghi, svuotamento lettiere, rassettamento cantine, scrostamento ghiaccio dal frigorifero, e ancora… 

COMPRAVENDITE AUTORIZZATE 
(io compro e voi vendete, autorizzandomi ad acquistare) antiquariato, modernariato, design e oggetti preziosi. 

***
PREVENTIVI GRATUITI MASSIMA SERIETÀ E CORTESIA 

SERVIZI A METÀ PREZZO PER COMMITTENZA RAI 

Figo, no?
Ottimo esempio di copywriting.
Chiamami, avrei voluto dirti; so che hai fatto una cazzata a non scegliermi, ma posso essere magnanimo, se si tratta di te. Se ti decidi a chiedermi scusa. 

Dopo la puntata di ieri, ho parlato con mia madre. «È colpa della laurea» ha detto.
«Quella non la metto nei volantini.»
«Perché non serve.» 

«Invece sì. Filosofia significa “amore per il sapere”.» «A che serve, sapere?»
«…»
«Che devi sapere, per lavorare?» 

Ha ragione lei: meno sai e più lavori. 

Lo dimostrano l’uomo col cappellino, la truccatrice daltonica, i vecchi scalzacane incompetenti della RAI; lo dimostri tu, Amadeus, preferendomi persone che non sanno, non hanno mai voluto sapere, figuriamoci se sono in grado di amare – la conoscenza o qualunque altra cosa al suo posto. 

Non ti vorrò più bene; non crederò più alla tua faccia da santone, al sorriso falso e tirato della tua squallida moglie Giovanna. 

Tieniti l’uomo col cappellino, conduci quel tuo traballante programma; remate contro gli scogli, verso il flop più totale, che minaccia di garantire un notevole vantaggio a Mediaset e una gastrite coi controcazzi ai Sommi Vertici della RAI. 

E magari mi sono espresso male, magari le parole che ho usato non hanno trasferito il concetto – la mia bravura, tutte le cose che più o meno so fare, anche se ho dovuto impararle da solo, perché nessuno ha voluto insegnarmele. Un discorso del genere (sulle parole, intendo) l’ha fatto Wittgenstein cent’anni fa, o forse era David Foster Wallace, il Mahatma Gandhi, Chanel Totti, ma chissenefrega!, il punto non è questo, il punto è che, secondo una certa cricca di pensatori, la parola non trasmette il significato. Un po’ come le caramelle alla fragola, che non sanno di fragola ma di qualcosa che ci va vicino – che la fragola, al massimo, te la può far immaginare, e per di più diversa da quella che sarebbe in realtà.

Che vada a farsi fottere, la tale fragola o chi per lei.
Che si fottano tutte quante le caramelle.
Se la fragola l’hai provata, il sapore lo riconosci anche succhiando una caramella, annusando la parvenza di fragola, la promessa fugace di fragola, il Simulacro Tale Suprema Fragola o come cavolo vogliamo chiamarlo; e non serve mangiarsi le fragole del contadino per afferrare il concetto di fragola in sé

Sto dando i numeri?
Non lo so più.
Mi sento come una succosissima fragola scambiata per volgare caramella. L’uomo col cappellino è caramella allo stato puro, è zucchero e colorante rosa, ma ve ne accorgerete presto. E a quel punto, non ci sarò. Non potrete più chiamarmi, perché mi sono riappropriato dei volantini che ho infilato in ogni buca della RAI. Vi pentirete di non avermi scelto, ma per non vivere di travianti illusioni avreste dovuto studiare Platone, le ombre, il mito della caverna, e sfortunatamente è troppo tardi, come succede nei film, e quindi attaccatevi… avrete capito a cosa. 

Ti saluto, Amadeus.
Ti lascio con un ultimo pensiero.
Con te avrei fatto l’amore, ma tu mi hai costretto a imbracciare il fucile. Cioè, sia chiaro: sto parlando per metafore. Avrei fatto l’amore in senso puramente platonico, assolutamente non‐biblico, come avrai capito a dispetto delle parole che ho usato. 

Le parole non sono sufficienti a esprimere quello che sentiamo, ma ci vanno vicino, ed è questo che conta. Qualunque cosa che ci distolga da un perfetto e assoluto niente. 

Mi dispiace sia finita così.
Non è stato bello non conoscerti.
A far data da oggi, che non so che giorno sia, non avrai più notizie del sottoscritto.
Per sempre tuo, con infinita dolcezza 

Roberto, lUomo in Affitto
(il fan più sconsolato di Torino)