ARTICOLO n. 70 / 2022

COME UNA PSICANALISI DI ME STESSO

Introduzione alla vera storia del cinema

Vorrei raccontare la storia del cinema non solo cronologicamente, ma piuttosto secondo una sorta di piccola archeologia o biologia. Tentare di mostrare come si sono prodotti dei movimenti, allo stesso modo in cui nella pittura si potrebbe raccontare la storia, per esempio, di come è stata creata la prospettiva, in quale data è stata inventata la pittura a olio, e così via. Ora, anche nel cinema, nulla è stato fatto a caso. Tutto è fatto da uomini e donne che vivono in società in un dato momento, che si esprimono, e imprimono questa espressione, o che esprimo in un certo modo la loro impressione. E devono esserci degli strati geologici, degli slittamenti dei terreni culturali; ma, per fare davvero tutto questo, occorrono mezzi visivi di analisi, non necessariamente molto potenti ma adatti allo scopo. Però questi strumenti non esistono, e mi sono accorto che io… Insomma… oggi, ho cinquant’anni, penso di aver finito la mia vita, che mi restano all’incirca trent’anni e che sto per… insomma… per vivermi l’interesse della mia vita, se vogliamo, come un capitale che avesse cinquant’anni; oggi, sto per riscuoterne gli interessi. E allora, ciò che per l’appunto mi interessa è vedere quello che ho fatto, e in particolare, visto che ho fatto qualche film, intendo approfittarne e tentare di ritornarci su.

Mi sono detto: bene, questo dev’essere più facile, uno che non avesse fatto dei film e che volesse rivedere la sua vita, la sua vita familiare, potrebbe forse rivedere delle foto, se ne ha conservata qualcuna, certo non le ha tutte. Ma della sua vita lavorativa, se ha lavorato alla catena, o alla General Motors o presso una compagnia di assicurazioni, non gli resta un bel niente. Forse qualche foto dei figli, ma del lavoro – credo – non avrebbe neanche un’immagine, per non parlare dei suoni.

Allora mi ero immaginato… insomma… pensavo… scopro che è un’illusione, che nel cinema, dato che ho fatto dei film, potrei almeno rivederli – e, in fondo, fare dei film consiste nel registrare delle serie di foto – e che potrei almeno partire da questo passato per rivedere il mio, come una psicanalisi di me stesso, e dal punto in cui io stesso ho cominciato nel cinema. Però mi sono accorto che, in realtà, la storia stessa del cinema che dovrebbe essere la cosa più facile da farsi è assolutamente impossibile a vedersi. Si può vedere un film e in seguito parlarne; è quello che si fa qui; tutto sommato però, questo è un lavoro abbastanza povero; bisogna allora riuscire a fare qualcos’altro. Ma questo forse non lo si può fare subito.

Venendo qui con Serge, mi sono per l’appunto reso conto che avevamo previsto di fare una specie di ricerca; io avevo qualche tema, come per esempio quel che c’è stato di fondamentale nel cinema e che si chiama – ma la gente non sa cos’è – montaggio. Questo del montaggio è un aspetto che va nascosto perché è qualcosa di abbastanza forte, e consiste nel mettere in rapporto le cose, in modo che la gente queste cose le veda… una situazione evidente, voglio dire… Un cornuto, finché non ha visto il tizio che sta con sua moglie, cioè finché non ha due foto, la sua e quella di sua moglie, o la sua e quella dell’altro, non ha visto niente; è sempre necessario vedere due volte… È questo che io chiamo montaggio: semplicemente un accostamento. In questo sta la straordinaria potenza dell’immagine e del suono che l’accompagna, o del suono e dell’immagine che lo accompagna. Ora, tutto questo, la sua geologia e geografia, è quanto è contenuto, a mio parere, nella storia del cinema, e tuttavia resta invisibile. Non bisogna mostrarlo, si dice. E io penso che passerò il resto della mia vita e del mio lavoro nel cinema proprio a tentare di vederlo, e innanzitutto per me stesso; e, sempre per me stesso, tenterò di vedere a che punto sono rimasto coi miei film.

Prima di vedere, di cominciare a vedere Griffith e Ėjzenštejn o Murnau, tanto per prendere gli esempi più noti, è difficile mettere insieme i mezzi tecnici esistenti: proiettare un film, guardarlo al rallentatore, vedere a un certo punto come Griffith o un altro si è avvicinato ad un attore e ha, se non inventato, quantomeno utilizzato con una certa metodicità il primo piano. Come ne abbia fatto una figura stilistica, come abbia trovato qualcosa, in modo analogo a quello degli scrittori che in un certo momento hanno inventato una certa grammatica. Bene, bisogna avere il film di Griffith, avere il tempo di cogliere nel film di Griffith il momento in cui sentiamo che qualcosa accade… e, se si ritiene, per esempio, che qualcosa di simile, ma in maniera diversa, è accaduto anche altrove, qualcosa che ne è il seguito, l’erede, il cugino o il complemento, in Russia, per esempio; se lo si vuol raffrontare ad Ėjzenštejn, per dire, bisogna scovare il film di Ėjzenštejn, avere il tempo di individuare il momento, quindi mostrare i due momenti, e poi farlo con della gente, non da soli, per dire se c’è veramente qualcosa. E se, alla fine, si scopre che non c’è nulla, si deve cercare altrove. Proprio come fanno gli scienziati in laboratorio, solo che questo laboratorio non esiste. Il campo in cui si fa davvero ricerca è forse in farmacologia; un po’ se ne fa in medicina o in qualche rara università, ma in tal caso sempre legata al sistema militare. Là difatti c’è un po’ di ricerca, si forniscono gli strumenti. Nel cinema gli strumenti non ci sono. Qui, se si volesse far ricerca…

Ho l’idea del metodo, ma non ho i mezzi. Già prima della morte di Henri Langlois… è con lui che avrei dovuto fare tutto ciò, e lui avrebbe potuto indirizzarmi con sicurezza – lui aveva una memoria formidabile e conosceva anche molto bene la storia del cinema – avrebbe potuto dirmi: «Bisogna cercare nel tale film e nella tale epoca». A questo punto, ci si rivolgeva a Serge, lui che ha le copie dei film o che le può trovare… e poi ci si installava da qualche parte. Ma ecco lì che bruscamente non c’è più nulla. Bisogna poter passare il film, non in proiezione perché, una volta in proiezione, devi poter parlare, dire: «Ah! Vi ricordate? Tre quarti d’ora fa abbiamo visto che…». Ma non è questo che interessa. Quel che interessa, è vederlo e poi dopo vedere magari un altro primo piano, ma contemporaneamente. Ma non ho osato farlo oggi per una prima volta… Ciò che sarebbe stato forse più interessante… – ma io non conosco abbastanza bene i film per osare un tentativo – sarebbe stato più interessante proiettarvi una bobina di Un angelo è caduto e poi una di Fino all’ultimo respiro. È un po’ arbitrario, ma potrebbe essere interessante farlo in piccolo, perché allora si vedrebbe, forse, nel giro di venti minuti, che non c’è da tirarne fuori niente; a quel punto, si monta e si va a cercare un altro film. Ma per cercare l’altro film ci voglio se va bene dieci minuti, e magari uno o due giorni se non ce l’hai sottomano.

Infatti, a volerla fare, la storia del cinema sarebbe come un territorio completamente sconosciuto, sepolto non si sa dove; e dovrebbe invece essere la cosa più semplice, poiché non si tratta che di immagini, come in un album fotografico. Questo album fotografico esiste, ma i mezzi per sfogliarlo non sono accessibili. La telecinesi, se ce n’è bisogno, è in una sala, il proiettore d’analisi è da tutt’altra parte…

Ringraziamo Mimesis Edizioni, PGreco Edizioni per la disponibilità a pubblicare un estratto da Jean-Luc Godard, Introduzione alla vera storia del cinema.

ARTICOLO n. 74 / 2024