ARTICOLO n. 75 / 2025

VOCI SENZA CORPO, CORPI SENZA VOCE

"la voce di Hind Rajab"

In collaborazione con I Wonder Pictures pubblichiamo un testo su La voce di Hind Rajab scritto e diretto da Kawthar ibn Haniyya, Leone d’Argento alla 82ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e candidato tunisino al miglior film straniero ai premi Oscar 2026. Nei cinema dal 25 settembre. Scopri le sale qui.

Non vediamo il corpo. Sentiamo solo la voce. Le ore di agonia. I trecentotrentacinque proiettili esplosi contro l’auto, sugli zii e i cugini, e poi, alla fine, su Hind Rajab. Kaouther Ben Hania – regista tunisina nota soprattutto per L’uomo che vendette la sua pelle e Quattro figlie, entrambi candidati all’Oscar – ha utilizzato le registrazioni delle telefonate della bambina di sei anni, morta a Gaza nel gennaio 2024, per costruire un ibrido cinematografico.

La voce di Hind Rajab si svolge interamente negli uffici del centro operativo della Mezzaluna Rossa, a Ramallah, in Cisgiordania, a 83 chilometri dalla Striscia di Gaza, dove arriva la richiesta d’aiuto da un’auto intrappolata nel quartiere di Tel al-Hawa durante un attacco dell’esercito israeliano.

Gli attori interpretano persone reali, ma la voce che sentono – e che sentiamo noi – è autentica. È la vera Hind che implora: «Per favore, venite a prendermi. Ho paura». 

La richiesta d’aiuto si trasforma immediatamente in un’emergenza operativa, con il passare dei minuti e l’aumentare della pressione, i volontari contattano chiunque possano, cercano piani alternativi e oscillano tra il sostenersi a vicenda e il litigare.

Oltre la rabbia c’è la frustrazione di chi vorrebbe intervenire e cambiare una situazione fuori controllo, come dimostrano le foto delle altre vittime: quelle esposte sulla bacheca e quelle ancora anonime, in attesa di un nome e di un volto, rappresentate da un adesivo con una sagoma grigia.

Tra i vari tentativi il team social della Mezzaluna Rossa decide di postare sui social, nella speranza di creare pressione pubblica affinché agiscano. Come chiede Omar, «Se una bambina non può ispirare empatia, cosa può farlo?». Si chiede anche come possa un audio cambiare le cose quando da anni i corpi straziati affollano i social e non è cambiato nulla.

Si spara sulle auto in fuga, sulle ambulanze, come dimostrano le foto dei volontari morti durante le operazioni di salvataggio, si spara sui bambini, si spara. Rabbia e disperazione si mescolano. La realtà e la finzione scenica si sovrappongono: sullo schermo del cellulare scorrono i volti reali, mentre appena dietro intravediamo gli attori che li interpretano. 

L’assenza del corpo di Hind non è una scelta estetica ma una dichiarazione politica. Non la vediamo perché rappresenta tutti i corpi che la storia contemporanea ha reso invisibili, le vittime di un genocidio sistematicamente cancellate dalla rappresentazione. Il corpo assente diventa simbolo di un’epoca che produce morti negati, statistiche senza volti, tragedie di cui siamo tutti testimoni in tempo reale.

Alcuni si sono chiesti se non ci sia qualcosa di discutibile nel presentare la registrazione in una trasposizione cinematografica. Ma forse è proprio questo il punto: mentre altri registi si occupano di storie inventate su persone inventate, Ben Hania afferra una delle questioni più rilevanti e urgenti del nostro tempo. Il risultato è un film che funziona come un thriller immersivo ma ci costringe a confrontarci con la realtà documentale della voce di Hind. L’assenza del corpo diventa anche una presenza fantasmatica, una voce disincarnata che attraverso spazio e tempo rappresenta il paradosso della contemporaneità: i corpi scompaiono ma le loro tracce digitali sopravvivono, diventano archivio, memoria, testimonianza.

È proprio in questa logica dell’invisibilità che si inserisce la rappresentazione agghiacciante della burocrazia che impedisce i soccorsi. La Mezzaluna Rossa ha un’ambulanza disponibile, a soli otto minuti da dove si nasconde Hind. Ma prima che possa essere inviata, l’esercito israeliano deve concordare un percorso attraverso le strade piene di macerie. Il coordinatore Mahdi spiega che non può semplicemente contattare via radio i conducenti delle ambulanze. Deve stabilire un percorso sicuro, in collaborazione con il Comitato Internazionale della Croce Rossa e il Coordinatore delle Attività Governative nei Territori, unità del Ministero della Difesa israeliano. 

Il percorso viene disegnato e prende la forma di un infinito tracciato verde, verde come il “green light” necessario per procedere, infinito come la situazione che si ripete senza sosta.

Urlando di rabbia, Omar dice: «Come puoi coordinarti con l’esercito che li ha uccisi?». Qui il film rivela la sua forza politica senza essere esplicitamente propagandistico: mostra il paradosso insostenibile di dover chiedere il permesso agli stessi che hanno causato la tragedia. La macchina burocratica che dovrebbe salvare vite diventa complice della loro distruzione.

Alla Mostra del Cinema di Venezia il film ha ricevuto una standing ovation di 23 minuti. Quando è stato mostrato a giornalisti e professionisti, si sono uditi anche suoni diversi dai soliti applausi: gente che piangeva, o era troppo sconvolta per parlare. Il corpo assente di Hind produce corpi presenti che piangono, si scuotono, reagiscono fisicamente a una voce che è un promemoria costante del fallimento umano. L’operazione della regista funziona: rendere presente l’assente, dare forma all’invisibile, trasformare la negazione in affermazione.

Solo dopo aver generato questa risposta viscerale attraverso l’assenza, negli ultimi minuti il film si apre al documentario, mostrando un’intervista alla madre di Hind e i filmati della bambina che gioca sulla spiaggia. Solo in questo momento vediamo la bambina, viva, felice, ignara del suo destino. 

Il corpo appare solo quando è già perduto, diventa visibile solo nella sua irrecuperabilità. È la logica perversa del nostro tempo: i corpi diventano significanti solo quando sono già assenti, acquistano peso politico solo quando non pesano più nulla, ottengono riconoscimento solo quando non possono più riconoscere nulla. 

Il cinema diventa spazio di resurrezione temporanea, luogo dove i corpi negati possono tornare a essere presenti almeno attraverso la voce, dove l’assenza si trasforma in presenza spettrale che ci perseguita e ci costringe a testimoniare. Dietro ogni corpo assente c’è una voce che continua a chiamarci, a chiederci di non dimenticare, a esigere giustizia per chi è stato ridotto al silenzio.

ARTICOLO n. 79 / 2025