ARTICOLO n. 34 / 2023
LETTERA A GIORGIA MELONI
Cosa si può scrivere oggi sul 25 aprile che non sia la solita riaffermazione impettita e retorica dei valori della esistenza, che non incide più, non è più proporzionale al nostro inquietante presente, dentro il quale ci sarebbe invece bisogno di scaraventare, nuda e cruda, questa ferita che ancora sanguina e che chiama a una resistenza ancora più tridimensionale e più grande?
Rimuginavo dentro di me questi pensieri, in vari momenti della mia giornata, anche mentre camminavo di notte e persino mentre ero a letto sveglio, e mi venivano in mente mille diverse idee e ispirazioni, perché all’inizio avrei voluto parlare del 25 aprile in modo sghembo, diagonale. Ad esempio, mi era venuto in mente di far dialogare tra di loro due cani che avevano seguito scodinzolando eccitati la fiumana dei liberatori nelle vie di Milano, oppure che si erano trovati sotto i cadaveri a testa in giù a Piazzale Loreto. O addirittura di far parlare i cadaveri a testa in giù, tra di loro o magari con un animale, un cane, un uccellino, far parlare un uccellino con il testone capovolto di Mussolini. Oppure di mettere in relazione narrativa il 25 aprile con qualche avatar da me particolarmente amato: Don Chisciotte, Pinocchio, la piccola fiammiferaia, lo scarafaggio di Kafka…
Queste e altre cose mi passavano per la mente. E forse ne sarebbe venuta fuori una cosa bella e originale. Però c’era qualcosa dentro di me che desiderava parlare del 25 aprile in modo più implicato, magari scomodo, rischioso, ma personale, diretto, senza abbellimenti. Così mi è venuto in mente di scrivere una lettera scorticata e aperta, e all’improvviso, d’istinto, ho pensato di indirizzare questa lettera a Giorgia Meloni.
Cara Giorgia Meloni,
ho passato la mia infanzia e la mia adolescenza in mezzo a fascisti. Mio padre era un militare fascista, che è stato fatto prigioniero in Libia e ha passato sei anni in campi di prigionia in India. È tornato a casa con forti problemi psichici e di alcolismo ed è stato internato in due diversi manicomi militari. Ho passato la mia infanzia a vedergli massacrare mia madre e ho ancora negli occhi l’immagine del suo corpo trascinato per terra e nelle orecchie le sue grida da animale scannato. Ogni tanto usciva dal suo mutismo e raccontava del suo trasferimento con gli altri prigionieri dalla Libia all’India, di quando, ammassati su un camion scoperto, passavano sotto un ponte del Cairo e gli arabi gridavano dall’alto “fascisti” e “Mussolini” e poi “si tiravano su quei loro sottanoni e ci pisciavano addosso”. Tutto questo per dire che sono stato attraversato da parte a parte, non in modo astratto ma viscerale, da questa spaventosa tragedia e che riesco persino a comprendere tutta la disperazione e il blocco emotivo e mentale dei vinti.
Il fratello di mio padre, mio zio Demostene, era comunista. Era sotto sorveglianza dell’OVRA, era stato arrestato più di una volta ed era infine emigrato in Brasile, dopo essere stato minatore in Belgio e in Istria, da dove, pur essendosi dichiarato comunista internazionalista, era dovuto fuggire per non venire gettato nelle foibe. Però era stato lui che, quando mio padre fu dichiarato disperso, aveva fatto ricerche attraverso la Croce Rossa e aveva scoperto alla fine che era vivo e prigioniero in India. È stato il fratello più amato da mio padre, e viceversa, forse perché tutti e due, ciascuno a suo modo, avevano sperimentato una leopardiana “strage delle illusioni”… Tutte cose che ho raccontato in un libro sulla storia della mia famiglia, intitolato I randagi.
Vivevo in una casa di nobili, perché mia madre, poco più che bambina, spinta come gli altri suoi fratelli alla diaspora dalla miseria della propria famiglia contadina, era andata a bussare alla porta di una grande villa di nobili che c’era nelle vicinanze (quella di San Prospero che si vede in Novecento di Bertolucci) ed era rimasta per tutta la vita con loro, come domestica e poi quasi-figlia. Mio nonno (lo chiamavo così anche se non era veramente mio nonno) votava per il partito monarchico (che alle elezioni si alleava con l’MSI). Però non perdonava a Mussolini di avere istituito la tassa sul celibato, che lui – non sposato e senza figli – era costretto a pagare.
Il mio amico di infanzia e di adolescenza era uno dei figli di un’altra famiglia di nobili che abitavano nel nostro stesso cortile. Era fascista anche lui e una volta, per cercare di convertirmi, mi aveva portato nella sede mantovana del MSI (il MIS, come veniva chiamato allora) dove, a un certo punto, un vecchio laido aveva aperto un baule e tirato fuori il suo antico manganello, tra le risa compiaciute degli altri.
Alcuni anni dopo, quando ormai avevo preso la strada di mio zio Demostene invece che quella di mio padre e prima di sperimentare anch’io la mia “strage delle illusioni”, in una piccola prigione di transito dell’Oltrepò pavese, prima di entrare nella mia cella e di buttarmi sopra il paglione, un ragazzo della cella vicina mi aveva rivolto la parola con gentilezza. Mi aveva detto di essere fascista ma di sapere chi ero e di essere stato a lungo indeciso se andare dalla mia parte politica oppure dall’altra, perché poteva succedere che, nei ragazzi, queste scelte fossero dettate non da convinzioni lungamente maturate ma anche da suggestioni momentanee, superficiali, comportamentali, emotive, a fare la differenza bastava magari un incontro casuale, un amico ammirato, un ragazzo o una ragazza che affascinavano. E poi questo ragazzo mi aveva allungato un romanzo da leggere, perché potessi distrarmi un po’ nelle mie prime ore da prigioniero. E io allora avevo pensato: “ma guarda, se noi due ci fossimo incrociati in una manifestazione ci saremmo avventati l’uno contro l’altro, mentre adesso che siamo tutti e due nella stessa condizione…”
E adesso, molti anni dopo, mi dico che forse faceva gioco a qualcuno mettere una parte della mia generazione contro l’altra, che mentre si mandavano avanti dei ragazzi fanatizzati quelli che, dietro, comandavano veramente erano sempre gli stessi, come forse sta succedendo anche adesso, in un momento in cui siamo di fronte a emergenze mai viste prima, addirittura di specie. E invece siamo continuamente rigettati all’indietro mentre dovremmo fare un inconcepibile passo in avanti e inventare e reinventare le nostre vite. Siamo riportati alla paura dell’ignoto e dell’aperto, all’illusione di poter fermare, esorcizzare e pietrificare il mutamento con degli editti, all’irresistibile inclinazione per ciò che vi è di più autoritario e retrivo, veniamo riportati a Dio Patria e Famiglia, a una idealizzata famiglia tradizionale, al bambino che deve avere il suo bravo papà e la sua brava mamma, come se questo fosse il paradiso, e io l’ho sperimentato questo paradiso! Mentre avvengono continue stragi nelle famiglie, mentre si sa che le famiglie sono piene di dolore, come d’altronde possono esserlo anche altre forme di aggregazione umana, nessuna esclusa. Dobbiamo assistere alle parole ipocrite di persone che vivono in tutt’altro modo ma che recitano queste giaculatorie perbeniste alle confuse e spaventate moltitudini trattate come nuove plebi da abbindolare con delle semplificazioni, dei simulacri. E poi… un Dio a cui non credono ma di cui ostentano in modo grottesco i simboli religiosi, l’esasperazione delle identità, la Patria e i suoi presunti custodi, che già tanti disastri ha provocato nel nostro recente passato e che nulla ha a che vedere con il vero amore per il proprio Paese, la propria cultura e la propria lingua, che anch’io, come uomo e come scrittore, sento profondamente. L’idea, l’illusione di potersi rinchiudere in un rassicurante orticello nazionale, in un mondo sovrappopolato e interconnesso e di fronte a una sfida di specie che dovrebbe unire piuttosto che dividere gli umani e chiamarli a una grande invenzione. E gli uni abbaiano, e gli altri abbaiano, e così tutti sono costretti ad abbaiare, mentre ci sarebbe invece bisogno di silenzio, di silenzio e ardimento. Durante uno dei miei cammini, in Sicilia, un branco di cani randagi ci aveva affrontato, e i cani che stavano davanti, in prima linea, erano quelli che abbaiavano più forte, fin quasi a strozzarsi, e sembravano sempre sul punto di avventarsi contro di noi per sbranarci. E allora un altro camminatore che se ne intendeva di cani mi aveva detto: «lo vedi, uno può pensare che il capo sia uno di quelli che stanno davanti e che abbaia di più, ma il capo del branco è quello là dietro, che se ne sta zitto, immobile». E infatti, a un certo punto, quello zitto e immobile si è girato e se ne è andato in silenzio, e allora gli altri cani hanno smesso improvvisamente di abbaiare e l’hanno seguito a loro volta in silenzio.
E così arrivo alla seconda parte di questa lettera.
Cara Giorgia Meloni,
lei si trova a capo del Governo il nostro Paese, proiettata e legittimata da elezioni che ha stravinto. Ha la responsabilità e l’onore di dirigere questo Paese fratricida e perennemente incompiuto, però capace a volte di invenzione, di fervore, di scatto. Un Paese che si trova a condividere con altri paesi europei un sogno continentale di cui è stato uno degli ispiratori, il sogno di un continente boreale composto di nazioni che si sono combattute per migliaia di anni e che adesso, dopo le tragedie causate nel Novecento dai nazionalismi esasperati, dalle tirannidi e da due guerre mondiali nate sul suo territorio, pur con tutti gli egoismi, ritardi e zavorre, ha imboccato una via controcorrente, trascendente, esemplare a livello mondiale, prefigurativa. Tutto questo in un momento in cui sempre nuove tirannidi piccole e grandi stanno crescendo come tumori in ogni parte del mondo, con il loro consueto portato di guerre, deliri nazionali e imperiali che ci riportano continuamente indietro e che non possiamo più permetterci, come specie che si è autoproclamata la più intelligente e che invece si sta dimostrando la più stupida, cieca, folle e suicida, che sta distruggendo le condizioni stesse della propria vita. Com’è possibile che in un momento simile, tra le mille identità su cui i potenti o presunti tali fondano il loro breve potere e il loro divide et impera, non se ne cominci ad affermare anche una nuova, di specie, di una specie che si trova a vivere nello stesso irripetibile habitat, sulla stessa zattera planetaria sperduta tra le galassie, insieme ad altre specie viventi interconnesse, vegetali, animali?
Come si può, in un simile contesto e passaggio d’era, non avere coscienza che, senza liberarsi del retaggio di radici come quelle di cui la sua parte politica è ancora emanazione, non ci sarà futuro? Lei mi dirà che c’erano al mondo altre tirannidi oltre a quella nazista e fascista, come quella dell’Unione Sovietica di Stalin che, essendo stata invasa dalle orde naziste e avendo pagato per questo un prezzo altissimo, ha potuto mettersi nella schiera dei liberatori e dei “buoni”. Sì, però l’altra parte politica da molto tempo si è liberata di questi retaggi, ha strappato queste radici. Ha visto quale catastrofe, dietro la maschera delle palingenesi ideologiche, è avvenuta nell’URSS, ne ha tratto le conseguenze e fatto tesoro. Noi abbiamo ascoltato e accolto le terribili verità che ci hanno raccontato i testimoni di quella spaventosa servitù volontaria, quello che ci hanno raccontato Šalamov, Vasilij Grossman, Solzenicyn, Bulgakov, Nadežda Maldel’štam… E voi, che pure dovreste sapere cosa hanno combinato Hitler e Mussolini? Non sembra proprio, ad ascoltare le dichiarazioni di uomini della sua parte politica. Quanti ripostigli segreti, quante ambiguità, quanti doppi fondi, quante “sgrammaticature”, ma tutte sempre in un’unica direzione! Era sembrato, con la svolta di Fiuggi, di cui anche lei ha fatto parte, che foste capaci di una ripulsa netta e senza ambiguità del fascismo, ma poi avete intorbidito le acque, dando l’impressione di avere fatto marcia indietro. E anche lei… quanta ambiguità, elusività, reticenza, quanti opportunistici arrampicamenti sugli specchi, quanti italici contorcimenti! Lo so, lei deve tenere insieme i pezzi del suo mondo arrivato al potere, compreso il suo zoccolo duro elettorale, perché anche lei, nella migliore delle ipotesi, è imprigionata dentro la stessa ragnatela che ha contribuito a tessere e non può e non ha il coraggio di lacerarla, di liberarsi e di nascere. Anche se avete giurato sulla Costituzione – antifascista e repubblicana – e quindi qualcuno potrebbe persino dire che siete, tecnicamente, degli spergiuri.
Lei mi dirà: “Povero idiota, e chi me lo fa fare di recidere nettamente queste radici, di non riproporre la paccottiglia nazionalista e clericofascista visto che elettoralmente sta funzionando, che il vento sta girando da questa parte, e non solo in Italia? E poi, cosa credi, nessuno sega il ramo su cui è seduto!” E io le risponderei: “Certo, ma quel ramo è marcio! Sì, certo, lo so, il potere ha un orizzonte breve, non gli interessa il domani, non vede una spanna al di là del proprio naso. E per un po’ vi andrà bene così, ma verrà il momento in cui questa illusione regressiva e questa sproporzione tra i bisogni e desideri umani in questo passaggio d’era e le vostre depistanti, ottundenti ricette diventerà insostenibile, e allora anche voi verrete travolti”.
Credete di rifarvi una verginità dicendo che siete dalla parte degli ebrei sterminati e che le leggi razziali sono state una vergogna, credete di poter separare questo indicibile orrore da tutto il resto e dall’humus politico e ideologico da cui è sorto. Ma non si può separare questo immane crimine dalla complicità attiva di Mussolini e del fascismo, dalla collaborazione nei rastrellamenti, nelle delazioni, nelle deportazioni, nelle stragi. Io ho camminato lungo un sentiero impervio che va da Pietrasanta a Sant’Anna di Stazzema, e c’era con me anche un uomo la cui nonna era stata assassinata. Ho camminato passo dopo passo sullo stesso identico sentiero che avevano percorso i soldati delle SS saliti a compiere quella terribile strage, mentre era ancora buio, prima dell’alba, con le armi leggere e anche quelle più pesanti che non so come abbiano fatto a trascinare là sopra, e c’erano con loro anche dei fascisti della RSI che facevano da informatori e da guide ai nazisti. Salivano tutti in silenzio, prima di arrivare in cima, di irrompere in quel piccolo paese con le sue case disseminate e di sterminare la sua popolazione, tutti, 560 persone, di cui 65 bambini, persino una neonata di venti giorni. E così in diversi paesi poco distanti, come Vinca e altri, centinaia di persone sterminate, mitragliate, impiccate, bruciate con i lanciafiamme… Non c’è niente da fare, il pacchetto è lo stesso, non si possono separare fascismo e nazismo, non si può prenderne una parte e pretendere di scartare l’altra, non si possono prendere per buone le mistificazioni ideologiche e le chiacchiere e pretendere di separarle dagli orrori, perché le due cose sono strettamente connesse, sono una cosa sola.
E allora, a questo punto, domando, a lei ma anche e soprattutto ai più catafratti della sua parte politica: che cosa c’è nel fascismo che a molti di voi sembra ancora da ammirare e salvare, tanto da non riuscire a liberarvene? Che i treni arrivavano in orario? Le bonifiche? L’edilizia popolare? Ma anche Hitler poneva molta attenzione all’aspetto sociale, e infatti il suo partito si chiamava nazionalsocialista. E lo scrive ripetutamente nel Mein Kampf, che il suo partito non doveva mai perdere di vista questo aspetto, che doveva presentarsi come il paladino degli interessi popolari, legando a sé il popolo per dominarlo, fidelizzarlo e trascinarlo poi verso le sue deliranti e criminali imprese. Ma cosa c’era sull’altro piatto della bilancia? Il nazionalismo esasperato, il delirio razziale, le guerre di aggressione, il rogo dei libri, l’arte degenerata, la disumanità, l’antisemitismo, l’orrore assoluto e la profanazione dei Lager…
E in Mussolini cosa mai vi può ancora piacere e affascinare? continuo a chiedermi. Che cosa, che cosa? Non so a lei ma di sicuro a molti di voi. Il trasformismo? La prepotenza? Il bullismo? Ma non vi viene da ridere quando vedete la sua grottesca figura con i pugni sui fianchi, che digrigna i denti? Ci vuole così poco per abbindolarvi? Oppure vi affascinano la cancellazione delle libertà politiche, le stesse di cui avete usufruito voi dal dopoguerra a oggi, oppure il suo conigliesco usa e getta delle donne, o forse gli assassini degli avversari politici, lo spaccare la testa a bastonate agli oppositori, l’umiliarli dando loro da bere dell’olio di ricino, il suo cinico “ci servono qualche migliaia di morti per sederci da vincitori al tavolo della pace”, il patto con il massacratore industriale del popolo ebraico? Come fate a convivere, anche solo in minima parte, con un simile orrore? Cosa può esserci di questo schifo che ancora vi piace e vi affascina? Siete così bloccati, così non cresciuti da non riuscire a liberarvi di questo schifo e ci avete costruito sopra la vostra identità? Siete mentalmente così servi che avete bisogno di un padre cattivo da idolatrare perché possa dare anche a voi il permesso di essere dei padri cattivi? Siete così spaventati e frustrati che avete bisogno di identificarvi a tal punto con l’aggressore?
“Povero idiota” lei potrebbe rispondermi ancora, “io sto facendo un gioco politico grosso, e per fare un simile gioco c’è bisogno di attrarre non solo pezzi di mondo politico precedente sempre in cerca di un nuovo padrone ma anche masse di scontenti, incattiviti, frustrati, che hanno sempre bisogno di dare le colpe a qualcun altro, e allora c’è bisogno di un collante ideologico per poter attirare e galvanizzare queste variegate masse di elettori, c’è bisogno di agitare soluzioni semplici, non importa se strumentali, ma che le possa capire anche un bambino.” D’altronde lo avevano detto chiaro e tondo Berlusconi e anche Trump, che bisogna parlare agli elettori come si parla a un bambino di sette anni, mostrando così tutto il loro disprezzo per le loro stesse moltitudini elettorali blandite.
Ce lo aveva spiegato bene Dostoevskij, come anche altri, che gli uomini hanno paura della libertà, che hanno bisogno di sbarazzarsi del fardello della libertà, che sono portati al servilismo e all’idolatria, a vendere l’anima a chi permette loro di sbarazzarsi del pesante fardello della libertà, che hanno bisogno del miracolo, dell’autorità. Perché si paga sempre un prezzo, un prezzo molto alto, per la propria libertà. È più facile, è più “naturale” essere servi che liberi, tanto più quando si spera di ricevere una ricompensa per il proprio servaggio. Meccanica che funziona non solo nel suo campo ma in ogni campo, compreso quello culturale, e io lo so bene per averlo sperimentato di persona. E lei, in questi primi mesi in cui detiene il potere starà assistendo sicuramente allo strisciare servile o infido di chi ha imbarcato o che potrà in futuro imbarcare, perché le persone, si sa, hanno la tendenza a saltare sul carro del vincitore. Spettacolo che forse, spero, la disgusterà.
E ce lo aveva spiegato bene anche Tolkien come funzionano il potere e lo stregamento del potere. Voi dite di amare il Signore degli anelli, ma cosa avete capito del Signore degli anelli? Del suo fiabesco e implacabile svelamento dei meccanismi del potere e della fascinazione del potere, del bisogno di resistere e di combattere per la libertà dal dominio e dalla fascinazione della tirannide del potere volto al Male? Una battaglia incerta fino all’ultimo istante e in cui non si sa mai se si vincerà o se si perderà, però non si combattono solo le battaglie che si è sicuri di vincere. Cosa c’entrate con la lotta per liberarsi dal potere malefico dell’anello, voi che avete appena afferrato l’anello e ve lo tenete ben stretto, non vi passa neanche per la testa di gettarlo dentro il vulcano? Cosa c’entrate con Gandalf, con gli alberi che si sradicano, con gli hobbit, gli elfi, i nani?
Che grande leader lei potrebbe essere se trovasse dentro di sé l’indipendenza e l’ardimento per sradicarsi, come gli alberi del Signore degli anelli! Per compiere uno scarto improvviso, da cavallo di razza, per liberarsi della rete di inganni che la proiettano ma la imprigionano! Per traghettare verso un inaspettato e creativo futuro anche il migliore bagaglio della cultura “di destra”, ammesso che si possano operare separazioni di superficie per scrittori, pensatori e poeti che hanno raccontato, indagato e cantato con intensità e radicalità le nostre irripetibili vite e il nostro irripetibile mondo, e che anch’io ho letto, assimilato e amato. E per traghettare anche, attraverso la forza libera dell’esempio, il retaggio di irriducibilità che hanno contrassegnato le vite di interi popoli e di singole e verticali figure: i nativi americani, i sognatori e visionari come Garibaldi, il colonnello Lawrence, Che Guevara…: il coraggio, la sfida, la lotta per la libertà o per quella che ci può apparire o balenare come libertà. Che segno profondo, che ricordo, che eredità indelebile potrebbe lasciare! Lei, come ogni altra persona e vita, se ne andrà, ma potrebbe lasciare dietro di sé, come un interminabile mantello regale, questo segno del suo passaggio nel mondo.
Ma lo so che questo non succederà, che queste sono solo mie illusioni infantili, fantasticherie. Che lei è dentro una macchina, che è trascinata dall’ansia ma anche dall’ebbrezza ascensionale di questa macchina, e che questo taciterà ogni altra voce che può, forse, di tanto in tanto, salirle da dentro, perché lei è nello stesso tempo ammaliatrice e ammaliata, giocatrice e giocata.
E allora…
VIVA IL 25 APRILE
VIVA LA RESISTENZA