ARTICOLO n. 76 / 2025

LA MALCONTENTA: IL FUORI VI ATTENDE

Possiamo declinare in tanti modi lo spirito del “fuori” ospitato dentro la Malcontenta: come natura, come l’essere stranieri, come geografia esterna, come una dimensione spaziotemporale che oltrepassa il qui e ora.

Costruita nel XVI secolo, la villa accoglie al contempo il lessico architettonico e l’iconografia culturale della Roma e della Grecia antiche. La Frigia, patria di Filemone e Bauci, oggi fa parte della Turchia. Bacco non ha origini precise, e i cieli non sono mai stati parte del nostro mondo.

La storia di questa casa testimonia un luogo di residenza privato che, nel corso dei secoli, ha fatto entrare al proprio interno il mondo: un campionario misto e internazionale di personaggi, dignitari stranieri, artisti e intellettuali. Quando l’ho visitata mi ha molto colpita il senso di apertura che ispira. Malgrado la sua imponenza a vederla dallo spazio sotto il portico, dentro ha una forza tutta diversa. L’aria e la luce che avvolgono l’edificio circolano anche al suo interno, e l’armonia delle sue proporzioni perfette, per quanto sia tutt’altro che modesta, si identifica con una dimensione umana, individuale.

Mi ossessiona quel busto – mi dicono sia Ovidio – nella Sala dei Giganti. È appollaiato su un falso timpano, nascosto in un’illusionistica conchiglia scanalata. È questo l’Ovidio che un tempo godé la fama di essere uno dei più grandi poeti di Roma? Oppure lo stesso Ovidio che finì in esilio sulle coste di Tomi, sul Mar Nero, per i nove estremi anni della sua vita? Ha un’espressione stoica, gli mancano l’energia e il vigore di Bacco, le sfumature cromatiche sono neutre, nello sguardo c’è qualcosa di vacuo. È stato già relegato nel ricordo, statuificato nella commemorazione, tramutato in pietra, la stessa materia usata per costruire gran parte della villa, se non tutta.

Nell’Età dell’Oro, scrive Ovidio, non c’era bisogno di edificare case, dato che la primavera era perenne. Anche se gli dèi dimoravano in palazzi e rocche nei cieli, gli esseri umani vivevano in caverne, nelle selve o in strutture molto semplici costruite con rami. Secondo la mitologia greca e romana è solo nel momento in cui il clima si modifica, evolvendosi fino a formare quattro stagioni diverse, che nasce la necessità di erigere case per gli esseri umani.

Il tempio in cui si trasforma la casa di Filemone e Bauci, nella raffigurazione di Zelotti, per quanto visibile sullo sfondo mentre i due si prostrano davanti a Giove, è pallido, appare quasi come un’immagine fantastica. Negli affreschi non si riesce a cogliere granché di come la casa dovesse apparire in origine. Anche quando gli dèi sono seduti alla tavola dei vecchi coniugi, al di sopra delle porte principali della villa, la scena d’interni sembra svilupparsi sia dentro che fuori; alla tavola da pranzo si affianca un albero, forse tacito ammiccamento preventivo a quegli alberi in cui alla fine i due vecchi si trasformeranno, in modo da poter durare ancora, persino dopo la morte, l’una al fianco dell’altro.

Oggi, le nostre quattro stagioni minacciano di confondersi in un’unica stagione. Allo stesso tempo, ci stiamo assuefacendo a estati più calde e inverni più freddi. Apprendiamo che regioni sempre più numerose del mondo stanno diventando inabitabili e ci prepariamo al prossimo disastro. Il ruolo dei confini, nelle Metamorfosi, è sempre ambiguo. Da un lato, un limite è necessario. Dall’altro, come dimostra continuamente il fenomeno della metamorfosi, i confini (specialmente quelli che riguardano l’identità) sono fatti per essere attraversati. 

All’inizio del poema ovidiano i confini devono essere creati per emergere dal Caos: è un momento in cui tutti gli elementi sono fusi assieme.

Il diluvio universale è un ritorno provvisorio a quel caos, una pericolosa dissoluzione dei confini (1.291): iamque mare et tellus nullum discrimen habebant; omnia pontus erat, deerant quoque litora ponto.

Già il mare e la terra non avevano più distinzioni, tutto era mare, e al mare mancavano anche le coste.

Tantissimi segni del cambiamento climatico (calotte polari che si restringono, livello dei mari che si innalza, arretramento delle linee costiere) somigliano alla rottura di quei confini fondamentali, a quel primordiale e inabitabile stato di confusione cosmica. Ma ci sono due cose che oggi minacciano la nostra comune umanità. Una è il cambiamento climatico. L’altra è l’ideologia di molte persone al potere: chiudere i confini ed escludere chi viene da fuori.

La Malcontenta sembra ergersi solitaria, immune a quel che la circonda (persino con lo sfrecciare delle auto e di un ciclista rannicchiato che passa pedalando) proprio come la casa di Filemone e Bauci era rimasta, nel mito, l’unica a restare in piedi. George Matei Cantacuzino, architetto romeno che venne a vederla, la descrisse come «l’unico elemento verticale di queste antiche paludi da cui il mare si è ritirato».

Laguna viene da lacuna, parola latina per “lago”, acqua ferma, spazio vuoto, svuotato. Il cubo sereno di Palladio sorge nel bel mezzo del nulla, al contempo isolato ed esposto in una piana rurale con poche distrazioni per l’occhio. Come Giano, il dio romano il cui volto, in uno degli affreschi del salone principale, manca, la struttura di Palladio guarda sia avanti sia indietro, ricorda ma sa anche intuire, prefigurandolo, il paesaggio desolato dell’apocalisse.

Anticipando De Chirico, la casa, contro il suo sfondo così essenziale, irradia una forza metafisica; c’è qualcosa, al di là, che è impossibile afferrare o stringere appieno.

Scegliete una scala, sentite la pietra sotto i piedi ed entrate dentro: il fuori vi attende.

Pubblichiamo un estratto dal saggio di Jhumpa Lahiri contenuto in Villa Foscari La Malcontenta a cura di Giulia Foscari, Wetlands Books. Ringraziamo l’autrice e l’editore per la disponibilità.

ARTICOLO n. 79 / 2025