ARTICOLO n. 84 / 2025

FELLINI DIETRO LA CINEPRESA

lettera da roma

Pubblichiamo un estratto da Il cinema secondo me di François Truffaut (Il Saggiatore, traduzione di Valeria Lucia Gili) in uscita oggi nelle librerie.

Roma. Sono pochi i cinema di Roma che non danno sul cielo. Quando la luce del giorno si attenua, i tetti si aprono per richiudersi non appena il pubblico inizia a gridare il suo malcontento, vale a dire se non è abbastanza scuro. Sta di fatto che questi minuti di cielo permettono di evacuare il fumo che minaccia di annebbiare rapidamente tutto l’ambiente. Il fatto di poter fumare nei cinema romani, insieme ai modici prezzi dei posti in sala, contribuisce probabilmente a rendere Roma la città europea con l’indice di frequentazione delle sale più elevato.

In Italia i film sono tagliati a metà per permettere un intervallo supplementare, una seconda vendita di gelati: questo e l’esuberanza del pubblico romano rendono quasi impossibile vedere un film serio nelle giuste condizioni. Quando però il film è divertente tutto va per il meglio e ci si sente tendenzialmente più indulgenti, trascinati dall’entusiasmo del pubblico. I romani non esitano ad apostrofare gli attori di un film, per esempio. Alla televisione italiana, Abbe Lane che danzava il cha cha cha turbava a tal punto gli spettatori maschili che le loro spose hanno protestato e vinto la causa: Abbe Lane non ha più il permesso di apparire alla televisione, ma può comunque girare dei film. 

Del resto, l’Italia intera è innamorata di Abbe Lane e va in bestia nel vedere suo marito, Xavier Cugat, che le sta sempre dietro: i giornalisti si immischiano e titolano: «Cugat go home», mentre la sua bella sposa è invitata a restare in Italia, ma lei sola. A Roma ho potuto vedere La macchina ammazzacattiviche, tra tutti i film di Roberto Rossellini, è stato quello che i miei colleghi italiani hanno accolto peggio; forse non avevano ben capito che si trattava di una favola. In un piccolo paese del napoletano, un bravo fotografo locale riceve la visita di un ispido vecchietto che gli offre la possibilità di amministrare da solo la giustizia: gli basterà fotografare un cattivo che vuole far scomparire e costui morirà nell’istante dello scatto assumendo permanentemente la posizione in cui si trovava nella foto. 

Così, un notabile del paese che aveva fatto il doppio gioco in politica muore al suo balcone, fisso mentre sta facendo il saluto fascista come nella vecchia foto: i passanti per strada non si accorgono che è morto e gli tirano le pietre poiché sta facendo il saluto mussoliniano; l’uomo cade all’indietro, e il giorno del suo funerale si vede passare una bara bizzarra, con un foro per il braccio perché, evidentemente, non è stato possibile fargli assumere una posizione diversa da quella che aveva prima di morire. Per farla breve, si tratta di un racconto satirico dalla fantasia sfrenata che farebbe bene a uscire anche a Parigi.

Alle Terme di Caracalla, dove imperversa la prostituzione, sono andato a vedere Federico Fellini che gira Le notti di Cabiria, film che ha come soggetto le disavventure di una prostituta romana, sorella minore di Gelsomina perché è interpretata dai Giulietta Masina. Dopo il mio rientro da Roma, ho saputo che le riprese sono state interrotte poco dopo la mia visita perché Giulietta Masina si è storta il ginocchio rientrando a casa, contro la porta. Dovrà portare il gesso per una quindicina di giorni e suo marito ne approfitta per rivedere la sceneggiatura. Fellini gira molto velocemente senza arrovellarsi troppo o rendersi la vita difficile. Quello che è ammirabile, in lui, è la serenità con cui lavora.Totalmente «rilassato», mette a punto un’inquadratura, la gira, ne mette a punto una seconda, la gira, senza storie. Vuole imbeccare lui stesso, fuori campo, le battute agli attori, cosa che, quando è contento della loro recitazione, gli permette di costringerli a improvvisare il testo. 

A forza di «rilanciare la palla» a una prostituta che interpretava se stessa davanti alla telecamera, Fellini è riuscito a terminare la ripresa con lei che diceva queste parole, totalmente improvvisate: «Sono tutto amore». Radioso, ha detto: «Stop!».

Intorno alla dolce ed esile Cabiria‑Gelsomina graviteranno ragazze di grande bellezza e anche veri mostri anatomici dalle forme imbottite da cuscini disposti nel punto giusto. Rischiano di essere orribili! Uno di questi mostri femminili si chiama Matisse; ricordo che uno dei bidonisti si chiamava Picasso; ci sarà tutta la pittura moderna. Alle quattro del mattino, dopo aver assistito alle riprese di otto inquadrature in sei ore, ho lasciato lo squisito Fellini che avrebbe continuato a lavorare fino al sorgere del sole.

ARTICOLO n. 83 / 2025